La Sicilia doveva essere il trampolino di lancio del Movimento 5 Stelle verso il governo nazionale. O meglio: le prime mosse dell’eventuale amministrazione grillina sull’isola sono state pensate come una vetrina per le future politiche, mettendo in scena clamorosi provvedimenti e rotture simboliche pronte ad essere trasferite su scala più larga.

Adesso, con il pronunciamento cautelativo del Tribunale di Palermo, si rischia grosso: regionarie annullate in attesa della sentenza definitiva e credibilità del M5S e delle sue regole interne duramente messa alla prova.

La confusione di queste ore è figlia, per l’ennesima volta, dei conflitti interni al mondo pentastellato sull’isola. L’onda lunga del caso firme false, con le divisioni che esso comportò, si staglia sul ricorso che ha congelato il risultato delle primarie vinte da Cancelleri.

Lo scossone siciliano non è l’unico problema da risolvere. I sondaggi paiono rassicuranti, anche se pare lontana la soglia del 40% che ancora ieri Luigi Di Maio poneva come obiettivo per le politiche. Ma la decisione sul voto siciliano arriva mentre si avvicina la convention nazionale di Rimini.

In quella sede, esattamente tra dieci giorni, il M5S ha promesso di proclamare il suo candidato premier. Eppure, non si sa ancora nulla. Lunedì scorso, a Milano, Beppe Grillo ha incontrato Davide Casaleggio.

Il vertice è stato reso pubblico con un tweet che ironizzava sui retroscena giornalistici. Che raccontano come il rapporto tra i due attraversi un momento difficile. Il comunicato video che era stato annunciato per la giornata di ieri aveva creato grosse aspettative. Pareva la volta buona, finalmente lo scioglimento del rebus delle primarie. Per gran parte della giornata non è comparso nulla, col Movimento compatto a mandare messaggi rassicuranti sulla Sicilia e buona parte della base ad aspettare l’oracolo digitale. Poi è comparso il post sul blog che ha deluso le attese. Si tratta soltanto di uno spot del raduno romagnolo.

L’annuncio del voto online e delle sue regole determineranno in che modo Luigi Di Maio verrà investito della candidatura. L’equilibrio è sottile: si tratta di cucirle addosso al vicepresidente della camera.

Serve una competizione che non venga percepita come pilotata. Al tempo stesso, non bisogna esagerare con la contesa, per evitare di consegnare al prescelto una vittoria di Pirro, con percentuali risicate e poca autorevolezza da spendere sul campo.

«Ho sempre detto che se i nostri iscritti vorranno individuare me come candidato premier ci sarò – ha detto ieri Di Maio a Radio Capital – Faremo le votazioni degli iscritti le prossime settimane e proclameremo questo nome».

E poi c’è la minaccia di nuovi attacchi hacker alla piattaforma Rousseau, che deve ospitare la consultazione.

«La scelta del modello di voto spetta a Beppe, in base alle possibilità tecnologiche e ai rischi di attacchi informatici», spiega il deputato Riccardo Fraccaro. Per il quale la minaccia hacker «potrebbe incidere sui tempi: più stai aperto più è facile subire attacchi». A riprova che la preoccupazione circola, il fatto che la settimana scorsa lo staff di Rousseau ha introdotto una nuova misura a tutela degli iscritti: la doppia verifica con codice via sms sul telefonino.

La corsa contro il tempo, infine, deve tenere conto anche del possibile rinvio a giudizio di Virginia Raggi, che potrebbe cadere proprio a ridosso dell’evento di Rimini e guastare la festa ai grillini.

Come se non bastasse, in forza delle ultime chat diffuse nei giorni scorsi, il probabile colpo per la sindaca di Roma apparirebbe legato a una vicenda sostanziale (l’esistenza di un cerchio magico esterno al M5S) invece che a una mera questione procedurale relativa alle nomine.