La Consulta regala il suo semaforo verde a un nuovo Parlamento dei nominati e il verdetto imprime per ciò stesso un’accelerazione secca verso il voto anticipato. Il tam tam dei renziani è iniziato un nanosecondo dopo la sentenza. «Si sono create le condizioni per andare a votare subito», si esalta il capo dei deputati Pd Rosato. Quindi illustra il percorso: «Noi proponiamo il Mattarellum. Se c’è una disponibilità bene. Altrimenti le due leggi per Camera e Senato sono già armonizzate. Sono due leggi omogenee a forte impianto proporzionale».

Non è vero naturalmente, più che armonizzate le due leggi uscite fuori dalle sforbiciate della Corte sono cacofoniche, ma il tripudio di Rosato non è ingiustificato. La Corte consente i capilista bloccati, il che lascia nelle mani di Renzi un enorme potere di ricatto sul partito. Ma soprattutto la garanzia di potersi nominare da solo parlamentari garantisce una assai maggiore disponibilità da parte di Silvio Berlusconi, il leader da cui più di ogni altro dipende la sopravvivenza della legislatura.

Qualche giorno fa l’accordo era a portata di mano. L’ex Cavaliere pareva pronto al mercanteggiamento: proporzionale, il sistema per Fi più utile, in cambio di un via libera per il voto prima dell’estate. Poi però Arcore ha frenato, e la rappresaglia del Nazareno non si è fatta attendere: Renzi ha ordinato di far saltare l’accordo che prevedeva la nomina a all’Agcom di un forzista, sia pure ex Pd, come Vito De Marco. Uno dei motivi che frenava Berlusconi, però, era proprio il timore di una legge basata sulle preferenze, vera bestia nera di Arcore. Ora che da quel punto di vista può dormire sonni tranquilli trattare con lui sarà per Renzi molto più facile. Non è una coincidenza se al Senato il Pd ha appoggiato entusiasticamente la proposta di rinviare il voto sull’Agcom previsto per ieri, in modo da aver tempo per riaprire le trattative.

Restano, è vero, altre considerazioni. Rinviare sino al 2018 lascerebbe aperta una porta per la «riabilitazione» da parte della Corte di Strasburgo: viatico perfetto per una campagna elettorale trionfale. Ma in realtà il condannatissimo ci spera poco, e molti tra i suoi fedelissimi spingono per accelerare, convinti che traccheggiare significhi regalare al Movimento 5 Stelle un’arma preziosa: il martellamento contro i parlamentari che prendono tempo solo per incassare il vitalizio. Elezioni a breve renderebbero impossibile ricucire con la Lega, ma una delle principali virtù del proporzionale è per Berlusconi proprio l’affrancamento dall’obbligo delle alleanze.

Sul fronte M5S l’orizzonte sembra altrettanto sgombro di nuvole. Dal blog Grillo gareggia con Renzi a chi smania di più per precipitarsi alle urne: «Il premio di maggioranza al 40% era il nostro obiettivo. Ora al voto subito: non faremo alleanze con nessuno. Ora c’è una legge elettorale costituzionale e pronta all’uso. Non ci sono più scuse». Il genovese non manca di citare quella frase che campeggia nella sentenza della Consulta che più di ogni altra deve essere piaciuta a Renzi: «La legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione». Non che la Corte potesse dare indicazione diversa, a meno di non violare lei per prima la Costituzione. Ma le forme in politica hanno la loro importanza, e una dichiarazione così secca e perentoria non era affatto obbligatoria.

Messe così le cose la partita sembrerebbe chiusa. La vicenda, invece, è più complicata. Checché ne dicano Rosato e Grillo, le due leggi non sono affatto «armonizzate» e il capo dello Stato è ancora deciso a evitare pasticci come quello che immancabilmente si creerebbe votando con due leggi diverse. Dunque il Parlamento dovrà intervenire e, nonostante la foga elettorale del Pd, della Lega, di M5S e di FdI i tempi potrebbero essere molto meno fulminei del desiderato.

Anche perché per M5S non sarà facile difendere una legge che assicura l’ennesimo parlamento dei nominati. «La vera urgenza – commentava a caldo per Si la capogruppo al Senato De Petris – è varare una legge proporzionale che restituisca al popolo il potere di scegliere i propri rappresentanti». La Consulta non lo ha fatto, ma la responsabilità finale sarà del Parlamento.