Forse Bob Dylan ha scelto di intitolare Triplicate il suo nuovo cd, il primo dopo il Nobel, perché si tratta di un disco triplo. Non è la prima volta, ma in questo caso, a differenza dei primi tre volumi delle Bootleg Series usciti in cofanetto triplo, il materiale è tutto recente e non una collezione di inediti registrati nel corso del tempo. O forse perché per la terza volta in tre anni, dopo Shadows in the Night e Fallen Angels, torna a incidere standards con lo sguardo rivolto all’inarrivabile Sinatra. Anche questo però è vero solo a metà: la tripletta era stata anticipata nel 2009 da Christmas in the Heart, cd di canzoni natalizie che nel canzoniere americano sono a tutti gli effetti standards. Pareva una bizzarria. Era il primo e ancora incerto passo su un nuovo sentiero: una promessa.

Triplicate mantiene le promesse. Ciascuno dei 3 cd ha il proprio titolo, Till the Sun Goes Down, Devil Dolls, Comin’ Home Lately. Ognuno contiene 10 canzoni, quasi tutti classici incisi da centinaia di artisti come A Time Goes By o Day In Day Out, e dura esattamente 32 minuti. Tra i dischi dedicati al Great American Songbook è il migliore. Ora Dylan controlla lo stile e lo varia.

Modula i toni,  non si limita a fare proprie l’approccio del crooner ma aggiunge swing, accelera il ritmo, ci mette qualcosa in più di suo. In alcuni dei pezzi più riusciti intreccia la lezione di Sinatra con quella del vaudeville, la stessa che gli aveva già dettato il capolavoro Love & Theft.Come cantante e musicista Dylan è quello che più di ogni altro ha fatto della reinterpretazione un’arte assoluta. Il suo repertorio è costellato di reinterpretazioni, dalla Girl from Country North del 1963, rivisitazione del classico folk Scarbourough Fair, all’eccezionale versione di The Titanic della Carter Family ribattezzato Tempest nel 2012.

Soprattutto Dylan reinterpreta se stesso, ogni sera, in ogni concerto del suo infinito tour, modificando non solo qualche particolare ma il senso profondo delle sue canzoni. Periodicamente va oltre: si reinventa da capo a piedi come ha fatto alla fine degli anni ’90. Di fronte alla sfida degli standards, Dylan poteva dunque scegliere tra due strade opposte: rivisitarli adattandoli al suo canone, oppure reintepretare se stesso per aderire a uno stile diversissimo da tutti quelli con cui si era cimentato nel secolo scorso. Ha preferito la seconda e più difficile sfida, e probabilmente non poteva andare diversamente: l’orizzonte del Dylan del nuovo millennio, da Time Out of Mind in poi, è proprio un’immersione continua in tutti gli aspetti della musica popolare americana, dal blues a Tin Pan Alley, inclusi i territori sinora inesplorati come il vaudeville o appunto l’American Songbook.

In Triplicate Dylan fa un passo in più. Continua a consegnarsi alle canzoni che interpreta ma a tratti inverte la marcia e le fa invece proprie, le reinterpreta da maestro. Il risultato lascerà qualcuno sconcertato, ma per chiunque ami Bob Dylan Triplicate è imperdibile.