Dopo diversi mesi di dibattito, scontri, incertezze, la Bce guidata da Mario Draghi ha finalmente varato il tanto atteso programma di Quantitative easing (Qe).

Si tratta, come è noto, di immettere nel sistema finanziario più moneta circolante e questo attraverso l’acquisto sul mercato di titoli pubblici e/o privati. Per la Bce si compie, come ha scritto qualcuno, una mossa storica.

un giudizio giustificato considerando le premesse, molto conservatrici, da cui la banca europea era nata sedici anni fa. E d’altra parte la decisione a lungo costruita da Draghi , attesa quanto contrastata, fornisce un evidente segnale di quanto le cose fossero ormai giunte ad un punto di acuta criticità.

In teoria una operazione di Quantitative easing nel contesto europeo attuale potrebbe servire a raggiungere almeno cinque o sei obiettivi diversi, sia pure tra di loro interconnessi. L’esigenza di base sarebbe di contrastare il fatto che l’economia non cresce, che il livello di disoccupazione si mantiene molto alto, che le minacce di deflazione si fanno più concrete.

L’operazione mira intanto a dare respiro all’economia e ad evitare una depressione. Inondando il mercato di denaro, essa dovrebbe permettere, tra l’altro, alle banche di liberarsi di una parte dei titoli pubblici in loro possesso e finanziare l’economia. Contemporaneamente, dovrebbe allontanare le minacce speculative sui titoli pubblici dei paesi del Sud Europa, gli stessi che sarebbero anche avvantaggiati dalla riduzione possibile di qualche decimo di punto di tassi di interesse. Si darebbe un colpo alle tendenze deflazioniste e si indebolirebbe ancora il cambio dell’euro con il dollaro, favorendo le esportazioni; si dovrebbe anche rafforzare il potere delle istituzioni dell’Ue, mostrando che l’Unione serve a qualcosa.

Si potrebbe a questo punto dire: troppa grazia, Sant’Antonio. Ma le cose presentano, come sempre, delle complicazioni più o meno pesanti.

Intanto sulla strada del Qe c’era l’ostacolo tedesco. Mentre i rappresentanti della Germania nella Bce si opponevano al programma e altrettanto faceva il presidente della Bundesbank, Weidmann, la Merkel premeva sottobanco perché esso fosse il meno incisivo possibile. I tedeschi sono ossessionati dalla paura che l’immissione di liquidità nell’economia porti a una forte crescita dei livelli di inflazione; temono poi che si usi l’operazione per permettere ai paesi del Sud Europa di allentare i vincoli delle politiche di austerità e che alla fine la Germania sia costretta a pagare per gli altri.

Così Draghi ha dovuto portare avanti un duro negoziato sui contenuti dell’operazione, annacquandola.

Le questioni in gioco riguardavano molti fronti, dall’ammontare della manovra, a quando essa avrebbe dovuto partire e con quale timing, a chi avrebbe dovuto sopportare i rischi in caso di perdite, al tipo di titoli pubblici e privati da acquistare, se a breve o a lungo termine, e a quanto dai vari paesi, infine se la Grecia avrebbe dovuto essere inclusa.

Un problema di fondo della manovra è dato dal fatto che quello della Bce è un intervento di supplenza, dal momento che la politica europea è inerte. Il Qe, per essere efficace, avrebbe dovuto essere accompagnato da politiche “budgetarie” ed economiche espansive, che rilanciassero la domanda, ciò che costituisce un’eresia per la Germania.

[do action=”citazione”]Non manca in Europa la liquidità, mancano gli investimenti[/do]

 

Non manca in Europa la liquidità, mancano gli investimenti. Ci sono così forti limiti ai risultati che la Bce potrebbe raggiungere che le mosse previste non saranno probabilmente sufficienti a far ripartire l’economia.

Cosa faranno le banche, allargheranno cioè i cordoni della borsa? La cosa comunque potrebbe in ogni caso rilevarsi inadeguata in assenza di domanda di credito da parte del settore privato. Quello statunitense, indicato come un programma di successo, faceva riferimento ad una situazione diversa da quella dell’eurozona e peraltro non è chiaro quanto alla ripresa dell’economia Usa abbia contribuito il Qe e quanto invece lo abbiano fatto gli interventi del governo sull’economia reale. Una differenza con l’ Europa è quella che i tassi di interesse sono da noi già a livelli molto bassi, al contrario che negli Usa prima dell’intervento. C’è poi rispetto agli Stati uniti un molto maggior peso da noi dei prestiti bancari.

L’esperienza della Gran Bretagna e del Giappone mostra, peraltro, che non è detto che la svalutazione della moneta porti ad un miglioramento della bilancia dei pagamenti.

Un effetto sicuro del varo di massicci programmi di Qe è quello che essi in generale aumentano le diseguaglianze di patrimonio tra i ricchi e i poveri. La moneta facile e i bassi tassi di interesse spingono normalmente in alto il valore dei titoli azionari e degli altri beni patrimoniali.

Alla fine il dado è tratto e la banca ha deciso.

Sarà varato, a partire da marzo 2015 e sino al settembre 2016, salvo estensioni temporali, un programma di acquisti di titoli per 60 miliardi di euro al mese, per un totale di 1080 miliardi. Sono state vinte le opposizioni tedesche che volevano rimandare la cosa a tempi più lontani; quantitativamente si tratta di importi superiori a quello che ci si aspettava, ma, d’altra parte, sono state riversate nel piano anche le risorse già previste da precedenti programmi su obbligazioni garantite e cartolarizzazioni, mentre non sappiamo quale sarà la percentuale di acquisti tra titoli pubblici e privati.

Supponendo che i primi occupino il 60% del totale, ci troveremmo di fronte a circa 650 miliardi di euro, che, di fronte ad una circolazione totale in Europa in questo momento di più di 9000 miliardi di titoli pubblici, non appare una cifra strepitosa. Per quanto riguarda la Grecia, Draghi ha lasciato sostanzialmente nel vago la possibilità di acquisti di quel paese- egli sa bene che fra qualche giorno ci saranno le elezioni. Per gli altri stati gli acquisti si faranno in proporzione dell’apporto di capitale di ognuno al bilancio della Bce.

Dove il cedimento di Draghi alle pretese tedesche è grave è nel fatto che gran parte della responsabilità per eventuali perdite sull’acquisto dei titoli viene scaricato sulle singole banche centrali. Come era stato già sottolineato nei giorni precedenti da alcuni economisti, tale mossa può contribuire ad una frammentazione della politica monetaria in Europa, anzi ad una sua balcanizzazione, invece che spingere in senso ulteriormente unitario.

Dopo l’annuncio, il prestigio di Draghi nel mondo dei mercati finanziari sembra essere ancora cresciuto, ciò che non appare peraltro necessariamente come un bene.

Se comunque l’operazione dovesse fallire, nell’armamentario della banca resterebbe un solo attrezzo, quello che i tecnici chiamano con espressione colorita helicopter money, ovvero il lancio di denaro sulle folle dagli elicotteri. In pratica ogni cittadino riceverebbe, una tantum, una certa somma di denaro, presumibilmente qualche migliaio di euro. Non si tratta di uno scherzo, ma di un’operazione che si sta seriamente studiando da tempo. Cominciamo dunque a pensare a cosa faremo con i soldi che ci verranno presto recapitati a casa…