Tra i film di impegno civile si inserisce questo liberamente ispirato alla biografia di Armida Miserere, una delle prime donne a diventare direttrice di carcere subito dopo l’entrata in vigore della legge Gozzini (1986), presentato in anteprima al Festival di Roma. Una vita drammatica a cui ha contrapposto un fierissimo carattere e che ha trovato nell’interpretazione di Valeria Golino tutte quelle sfumature del carattere che sullo schermo appaiono meno scontate, in lotta perenne con il linguaggio televisivo, pure se il soggetto si presterebbe perfettamente, dopo tanti personaggi maschili apparsi in tv, giudici, commissari, scorte.

Qui un po’ le interpretazioni, un po’ le vicende autentiche ci fanno prendere strade più tortuose, meno lineari. Filippo Timi con le profondità insondabili che suggerisce al suo apparire rende subito romanzesco il rapporto, nella parte di Umberto Mormile educatore di Opera, sperimentatore di teatro in carcere, mentre lei è direttrice del carcere di Lodi, vivono insieme e non riescono ad avere figli. Nel 1990, una moto si affianca all’auto di Mormile che è freddato da colpi di pistola, un oscuro delitto senza spiegazioni, forse favori non concessi, che sarà oggetto di indagini negli anni successivi. Il dolore della perdita spinge la Miserere ad allontanarsi, ad accettare anche la direzione del carcere di Pianosa dove si trova ad essere la sola donna sull’isola creando un rapporto di cameratismo con i suoi uomini senza lasciarsi intimidire dai boss detenuti. Il film mette in luce la sua determinazione che si fa durezza, il rigore morale senza sconti, una caratteristica che spinse l’amministrazione a destinarla proprio nel carcere più difficile da gestire, riaperto per la detenzione dei mafiosi più pericolosi, in pieni anni novanta. Il dramma scorre nelle sue vene, come il desiderio di vivere, sempre in attesa di conoscere i mandanti dell’omicidio, in bilico tra la compagnia del lutto e qualche barlume di futuro anche per lei. Vediamo una donna decisa, accompagnata dai suoi cani lupo, sempre con la sigaretta accesa, un gesto che ormai spicca per il suo anacronismo, stimata dai colleghi, dai magistrati con cui collabora alla cattura di Giovanni Brusca. Francesco Scianna, Marcello Mazzarella, Enrico Silvestrin sono alcuni degli interpreti. Anche se i pentiti lanciano ipotesi infamanti su Mormile, durante un processo alla ’ndrangheta si ottiene la confessione del suo assassino pilotato da un boss. Così dopo alcuni anni in cui dirige il supercarcere di Sulmona dove la vediamo all’inizio del film, tutto il peso del dolore e la tensione, la delusione che ha accumulato nel corso degli anni la portano alla decisione di diventare vento «perché vento sono stata», come lascia scritto.