C’era una sedia vuota nella cerimonia che si è svolta domenica nella Plaza de Bolívar a Bogotà per chiedere perdono alle vittime della violenza della polizia. Era quella destinata al presidente colombiano Iván Duque, invitato dalla sindaca della capitale Claudia López a un atto pensato come forma di riconoscimento della gravità degli abusi commessi dalle forze dell’ordine a partire dall’omicidio di Javier Ordóñez e come impegno a garantire verità e giustizia ai familiari delle tredici vittime della cruenta repressione operata dalla polizia nel quadro delle proteste scoppiate il 9 e il 10 settembre.

Quella sedia vuota, lasciata in bella vista come un atto di accusa, è stata accolta come una provocazione dall’Alto commissario per la pace Miguel Ceballos, delegato il giorno prima da Duque a partecipare alla cerimonia insieme alla consigliera per i diritti umani Nancy Patricia Gutiérrez.

Ma la risposta della sindaca non si è fatta attendere: «La richiesta di perdono non si delega, signor presidente. Si esercita. Come comandante della forza pubblica e come capo dello Stato, è obbligato a riconoscere il dolore delle vittime e la gravità dei fatti».

Un riconoscimento che sarebbe inutile cercare nella debolissima dichiarazione del ministro della Difesa Carlos Holmes: la polizia nazionale, ha detto, «si scusa per qualsiasi violazione della legge o mancata conoscenza dei regolamenti da parte di qualcuno dei membri dell’istituzione». Mentre il generale Gustavo Moreno, direttore incaricato della polizia, ha assicurato che «nessuno ha dato l’ordine di sparare, assolutamente nessuno». Il solito discorso, insomma, delle «mele marce».

E non basterà certo la notizia dei 65 agenti finiti sotto inchiesta per presunto abuso di autorità a sanare le ferite di un paese lacerato dalla violenza. «La situazione peggiora ogni giorno. Non possiamo permettere che continuino a scorrere fiumi di sangue nel nostro paese», ha dichiarato la presidente del Movimiento Indígena y Social Martha Peralta durante una nuova protesta realizzata dalle organizzazioni sociali contro gli abusi della polizia e i recenti massacri compiuti in diverse aree del paese.

E mentre continua lo stillicidio di assassinii di leader social e di ex combattenti, resta lontana anche la soluzione del caso dell’ormai certo omicidio di Mario Paciolla, il cooperante legato alla Missione Onu di verifica degli accordi di pace, di cui oggi ricorrono i due mesi dalla morte.