Le vicende delle cattedrali gotiche sono state indagate da molteplici punti di vista. Questi enormi cantieri, la cui realizzazione impegnò generazioni e generazioni di operai, architetti, scultori e pittori, allo sguardo attuale posso apparire come degli ‘insiemi coerenti’. Le sconclusionate dichiarazioni legate alle recenti, drammatiche vicende di Nôtre-Dame di Parigi, sono una prova del fatto che, per la maggior parte, il pubblico non specialista ignora completamente quali siano la complessità e la stratificazione storica di questi monumenti. Cantieri lenti, che si accrescono spesso in modo non lineare, persino contraddittorio, tanto sono legati alle condizioni in cui presero corpo e forma.
Uno degli esempi migliori, ma forse ancora poco noti, si trova proprio in Italia, a Siena. Quando l’Opera di Santa Maria, cioè l’organo che sovrintendeva alla costruzione del Duomo, d’accordo con i Signori Nove che governavano il Comune, decise di dare avvio a un progetto faraonico di ampliamento della cattedrale, si avviò un complesso cantiere che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un grande corpo longitudinale innestato sulla chiesa precedente. In questo modo, l’attuale cattedrale avrebbe finito per costituire il transetto di un mastodontico edificio, che avrebbe avuto la sua navata in un nuovo corpo di fabbrica costruito sulla piana della collina, orientato verso nord-ovest. Le vicende di questa costruzione, indicata come ‘Duomo nuovo’, inizialmente come intravista e poi sempre più caldeggiata tanto dall’Opera che dal Comune retto dai Nove, furono assai accidentate.
È grazie al nuovo volume di Roberto Bartalini – Il Duomo nuovo di Siena La fabbrica, le sculture, i maestri, le dinamiche di cantiere (pp. 191, 170 ill, euro 34,00, Silvana Editoriale) – che è ora possibile ripercorrere il complesso intreccio che portò al progetto e alla realizzazione (parziale) di questo nuovo corpo di fabbrica. Parziale, sì, perché i piani per questa nuova chiesa, che col senno di poi assume tratti quasi megalomani, a un certo punto, negli avanzati anni cinquanta del Trecento, vennero abbandonati.
Al principio, cioè negli anni venti, il problema era legato alla chiesa di san Giovanni, cioè il Battistero, che venne costruito nella zona sottostante il Duomo, sfruttando il dislivello tra la collina e la zona inferiore. Nel momento in cui le volte del Battistero vennero chiuse (1326), si procedette alla realizzazione della facciata. La documentazione superstite dimostra che in quel momento, tra anni venti e anni trenta, il problema che l’Opera e il Comune si trovavano a gestire era quello di un prolungamento dell’abside del Duomo al di sopra del nuovo Battistero. Le attività per questa ‘ristrutturazione’ si arrestarono proprio quando, tra 1339 e 1340, il progetto del ‘Duomo nuovo’ entrò nella sua fase più vivace.
In molti punti del volume il «cosa» è realizzato si lega strettamente al «come». A testimoniarlo restano una serie di documenti che hanno permesso di comprendere come fosse organizzato il lavoro: dal modo di fabbricare mattoni di misura standard al tipo e alle differenze di retribuzione per le maestranze occupate nel cantiere. Ma anche emerge molto bene la strettissima pianificazione delle costruzioni, che a volte consentiva di preparare diversi elementi lapidei con grande anticipo rispetto alla messa in opera. Il prodigioso volume di Andrea Giorgi e Stefano Moscadelli, pubblicato nel 2005 nell’ambito del progetto «Die Kirchen von Siena» (i due curano anche la ricca appendice documentaria al libro di Bartalini) , ha reso disponibile e razionalizzato una ingente messe di dati.
Facendo tesoro delle acquisizioni di quegli studi, Bartalini ha ritracciato la storia – complessa, accidentata e, infine, incompiuta – di un pezzo di quel cantiere. Il monumento e la sua decorazione, che la ricchissima campagna fotografica che correda il volume permette di apprezzare appieno, sono ricollocati all’interno delle dinamiche di gestione di un cantiere del tardo Medioevo. Una dimensione che si vorrebbe definire ‘plurale’ e per analizzare la quale in certi tratti si devono abbandonare gli usuali strumenti d’analisi concentrati sullo stile, che consegnerebbero risultati assai fragili. Al contrario, riconsiderando nel loro insieme le diverse fasi costruttive, è possibile proporre delle griglie cronologiche piuttosto salde.
Proprio queste fasi costruttive hanno visto artisti del calibro di Giovanni d’Agostino e, alla scomparsa di questi (probabilmente nell’epidemia di peste del 1348), il fratello Domenico d’Agostino, reggere le fila del cantiere in qualità di capimaestri della fabbrica. Una figura, quella del capomaestro, alla quale doveva essere riconosciuto un certo prestigio, corrispondente a un salario alto e piuttosto unico tra le retribuzioni corrisposte alle maestranze: figura che si affermò proprio nel cantiere del ‘Duomo nuovo’. Negli anni precedenti, infatti, al di là dei casi piuttosto eccezionali di Giovanni Pisano e di Tino di Camaino, si può dire che non fosse un ruolo stabile nell’organizzazione della fabbrica. Incrociando e facendo dialogare l’analisi dei dati documentari e i resti della costruzione della nuova navata del Duomo, Bartalini fa emergere il procedere dell’edificazione e della decorazione. La Bauskulptur, cioè la scultura decorativa intrinsecamente legata agli elementi costruttivi, come le paraste e i capitelli, è l’impegno preponderante per un largo lasso di tempo, sino a che non si avviano anche una serie di sculture monumentali, come il gruppo del Cristo benedicente con Angeli adoranti che svettava sul portale verso Vallepiatta (gli originali si trovano oggi nel Museo dell’Opera del Duomo, al loro posto sono state collocate delle copie).
Come ben dimostrato dal volume di Bartalini, è una semplice vulgata che il cantiere del ‘Duomo nuovo’ s’interruppe con gli sconvolgimenti demografico-sociali causati dalla Peste Nera del 1348. Ancora ben dentro gli anni cinquanta si mettevano a punto i progetti per collegare il ‘Duomo nuovo’ alla vecchia cattedrale. E qui il cantiere ebbe la sua definitiva e irreversibile battuta d’arresto, poco dopo il 1357: adattare la vecchia cattedrale alle proporzioni del nuovo edificio avrebbe comportato costi spropositati, che non ci si poteva più sobbarcare. Ciò che sino ad allora era stato costruito rimase incompiuto, e ancora oggi caratterizza il profilo urbano della città.