«Erdogan non accetta la sentenza perché per lui è una chiara sconfitta. Abbiamo un presidente che non è abituato a perdere». Ieri Can Dundar, direttore del quotidiano Cumhuriyet, si è tolto un altro sassolino dalla scarpa. E non ha risparmiato accuse contro l’Unione Europea, troppo interessata a bloccare i rifugiati siriani per fare pressioni su Ankara: «Mentre eravamo in prigione, si mercanteggiava sui rifugiati. Sembra che l’Europa preferisca barattare i propri principi in cambio di interessi di breve periodo».

Durante una conferenza stampa con il caporedattore Erdem Gul, con cui ha condiviso 92 giorni di prigione, il giornalista è tornato sulla decisione della Corte Costituzionale turca che giovedì scorso li ha scarcerati.

Scarcerati ma non assolti: sui capi dei due reporter pende l’accusa di spionaggio e sostegno a organizzazione terroristica. Il processo si aprirà il 25 marzo e Dundar ne dà la sua interpretazione: «Non ci difenderemo, ma porteremo di fronte alla corte i crimini dello Stato». Rischiano due ergastoli a testa. A monte sta la denuncia presentata dallo stesso Erdogan a giugno 2015, un mese dopo la pubblicazione su Cumhuriyet di video e articoli sulla consegna di armi da parte dei servizi segreti turchi a gruppi jihadisti impegnati in Siria.

Per ora, però, Dundar e Gul segnano un punto a proprio favore: la più alta corte del paese ha bollato l’incarcerazione come violazione della libertà di espressione e stampa. Un punto non da poco che ha provocato ben più di un mal di pancia ad Erdogan. Ieri il suo braccio destro, il premier Davutoglu, ha ribadito la posizione dell’esecutivo: l’arresto dei due giornalisti non rientra nell’ambito della libertà di parola e la sentenza non dovrà influenzare il processo per spionaggio.

Le preoccupazioni di Ankara coprono l’ampio raggio delle politiche inaugurate dal sultano: il ruolo da incendiario della guerra in Siria, il sostegno a Stato Islamico e al-Nusra, la repressione interna contro voci critiche. I numeri sono esorbitanti: dal 2014, quando Erdogan divenne presidente, sono stati aperti 1.845 fascicoli per insulti alla sua figura (reato per il codice penale turco) contro ogni critico, giornalisti, attivisti, artisti, ma anche semplici cittadini e studenti.

Dietro sta l’uso sistematico della magistratura come strumento repressivo. Erdogan ordina, molti giudici obbediscono. L’ultimo caso si è registrato ieri: il presidente ha chiesto alle procure di assumere misure legali contro l’Hdp, il partito di opposizione pro-kurdo, per aver organizzato una marcia di protesta nel distretto di Sur, a Diyarbakir, tra i più colpiti dalla brutale campagna militare anti-kurda.

Le misure vanno prese, dice Erdogan, perché si tratta di una «chiamata al terrore» e perché le autorità turche avevano emesso un divieto di ingresso nel quartiere. A fare appello alla piazza era stato il leader dell’Hdp Demirtas, invito rivolto ai chi è rimasto a vivere in città (sono migliaia le famiglie fuggite da coprifuoco e azioni militari) a protestare contro la campagna che da luglio ha già ucciso circa 300 civili.

«Tutti i residenti di Diyarbakir dovrebbero sollevarsi per porre fine al blocco di Sur – ha detto martedì Demirtas – Tutti marcino verso Sur alle 16 del 2 marzo». Allora il governatore di Diyarbakir ha emesso un divieto di ingresso per i non residenti del quartiere a partire da mezzogiorno.

Eppure ieri erano migliaia le persone in marcia contro un coprifuoco che prosegue ininterrotto da 92 giorni e che ha permesso all’esercito turco di compiere odiosi massacri. Si è marciato dai distretti di Kayapinar, Baglar e Yenisehir e dai villaggi della provincia, con in gola slogan a favore della resistenza kurda e in mano le foto delle vittime delle stragi di Cizre (dove martedì il coprifuoco totale è stato ridotto alle sole ore notturne, dopo 80 giorni). Scontri sono esplosi con la polizia turca che ha cercato di disperdere la folla.

Ma le proteste pacifiche non attirano l’attenzione dei media europei. E i raid continuano. Non ci si limita solo all’artiglieria ma anche alle bombe dal cielo: ieri gli F16 turchi hanno colpito le zone rurali di Sirnak, in stato di assedio da 16 giorni, dove la scorsa settimana sono state uccise 12 persone.