In tempi di narcisismo dilagante, di calciatori eternamente sotto i riflettori, di fidanzate che scrivono su twitter qualsiasi cosa, anche quelle che non c’entrano nulla con il calcio e i loro fidanzati beniamini dei tifosi, ampiamente ripresa dai media pallonari, in tutti i sensi, un libro di James Leighton Duncan Edwards, il più grande (66thana2nd, euro 20) con un’ampia prefazione di Wu Ming 4, descrive la breve e significativa vita di un giovane calciatore inglese degli anni Cinquanta del secolo scorso, Edwards Duncan, caratterizzata da modestia e grandi qualità, un’eccezione se paragonato al divismo dei calciatori di oggi.

I fumi della regione industriale dove abitava Duncan, le Midlands occidentali, annerivano i polmoni degli operai, il cielo sopra le loro case e anche i mattoni rossi dei muri, tanto era il fumo emanato dalle ciminiere delle fabbriche che quella regione era chiamata Black Country. Nero perché vi erano i fumi delle miniere di carbonfossile, dei grandi stabilimenti siderurgici e manifatturieri. La prima cosa che Duncan Edwards notò, quando in treno diretto a Manchester all’età di 12 anni per giocare nelle giovanili del Machester United, che l’Old Trafford aveva i mattoni rossi e che il nero dei fumi che si era depositato sui mattoni delle mura dello stadio era identico a quello delle case di Dundley, dove era nato. Quel ragazzo prodigio, nel fisico e nelle qualità tecniche, nel giro di qualche stagione passò dal debutto all’età di 12 anni nelle giovanili under 14 del Manchester United alla under 15 l’anno dopo, dove debuttò a Wembley davanti a 53 mila spettatori e poi nella prima squadra, dove divenne, giovanissimo, un baluardo del centrocampo dello United. Sapeva svolgere il ruolo di mediano, ma anche di centravanti, alto e robusto, muscoloso nelle gambe, nonostante la sua giovane età, era sicuro delle proprie azioni, non sbagliava mai un passaggio e dava sicurezza ai compagni. La paga settimanale, quando Duncan Edwards nel 1952 debuttò titolare nel Manchester United, era di 14 sterline, non molto differente da quella di un operaio che era di 9 sterline. Lo United era la squadra degli operai di Manchester, in quegli anni viveva alti e bassi, ma il gruppo giovanile, al quale si aggregò anche un ragazzo arrivato dal nord di nome Bobby Charlton, faceva ben sperare, tra loro, oltre ad Edwards arrivarono altri in prima squadra. Quel gruppo impresse forza e qualità di gioco e arrivò ai vertici del campionato inglese, arrivò lo scudetto e per Duncan Edwards anche la convocazione in nazionale, quel ragazzo era l’orgoglio del Black Country operaio. Spesso si fermava a giocare a pallone con i ragazzini vicino la pensione dove alloggiava, non si dava mai arie, e fuori dal campo era piuttosto timido. Nel 1958 il Manchester United disputava la Coppa Campioni, oggi Champions, in Europa era una squadra temuta, spavalda giocava e vinceva, come in casa contro la Stella Rossa. La partita di ritorno disputata a Belgrado, finì 3 a 3, un risultato che consentì a Red Devils di superare il turno. Dopo il match, la squadra si imbarcò sull’aereo diretto a Manchester con uno scalo a Monaco di Baviera per il rifornimento di gasolio. La pista innevata non consentì un buon atterraggio, i giocatori scesero dall’aereo per bere tè e sgranchirsi le gambe, ma qualcosa di quell’aereo non funzionava, poi d’improvviso l’altoparlante annunciò ai giocatori del Manchester di salire a bordo per la partenza. Un primo tentativo di decollo andò a vuoto, un secondo dopo pochi minuti portò l’aereo fuori pista, un’ala finì contro una casa e poi dentro un bosco vicino, spezzandolo in due. L’urto violento sbalzò i corpi fuori dall’aereo, ancora legati ai sedili. Morirono calciatori e giornalisti sportivi, morirono in quella tragedia i calciatori più forti del Manchester United e della nazionale inglese, Duncan Edwards contrasse fratture multiple, ebbe un polmone e i reni fortemente compromessi, resistette due settimane poi morì all’età di 21 anni. Tra i sopravvissuti Bobby Charlton, che divenne una solida bandiera del Manchester e della nazionale inglese, alla guida della quale nel 1966 vinse i mondiali di calcio. Sul ragazzo prodigio di Dundley non ha mai avuto dubbi:” Duncan Edwards era il più grande. Ripenso a lui e mi chiedo perché qualcuno debba aver avuto così tanto talento. Era semplicemente il più grande calciatore di tutti”.

James Leighton, nella pregevole ricerca delle fonti e delle testimonianze orali, non cede mai alla retorica, che il dramma di quell’incidente aereo pur legittimerebbe. Con una scrittura asciutta e chiara rende attuale una storia di sessanta anni fa, raccontata nel contesto storico di quegli anni. Descrive con affabilità quel mondo della working class, che il sabato pomeriggio si riversava allo stadio per dimenticare i fumi abbrutenti delle fabbriche. Il Manchester United e gli operai erano tutt’uno, Duncan Edwards, che grazie al calcio non era finito in fabbrica come tanti, era il loro fiore all’occhiello.