Del chiacchiericcio mediatico e transatlantico sull’identità della scrittrice che si firma Elena Ferrante non vi è traccia, nel pezzo di teatro che sta impegnando Chiara Lagani e Fiorenza Menni, due protagoniste, da un quarto di secolo, della ricerca italiana, con Fanny & Alexander e con il defunto Teatrino Clandestino. Che la scelta di lavorare su un’autrice tanto in voga e dibattuta da accademici e film maker potesse portare al tradimento dei rispettivi percorsi è un pericolo scampato. Da parte loro nessuna domanda imbarazzante, presentato a Centrale Preneste nell’ambito di Teatri di Vetro (il 18 e 19 ottobre lo spettacolo va in scena al festival Vie di Modena e poi a Forlì, Venezia e Rimini), è un duetto di attrici forte e strutturato che della misteriosa autrice utilizza brani tratti da L’amica geniale (Edizioni E/O) e dalla quadrilogia è ispirato, per quel rapporto amicale e per il sapore partenopeo di luoghi e micro situazioni. Seppure il lavoro arriva con una doppia intestazione Fanny & Alexander e Ateliersi (la nuova compagnia di Fiorenza Menni), quello che ne esce è una creazione nella cifra dei Fanny, per i quali il 2017 è l’anno delle 25 candeline: a firmarne regia e progetto sonoro è Luigi De Angelis, mentre la drammaturgia è della stessa Lagani.

In una scatola nera si ergono due figure in bianco, bloccate ma con le estremità mobilissime, diverse e distinte anche nel ritmo di questi loro movimenti incessanti di mani, braccia e piedi. Come fossero un corpo unico, da cui le voci escono intersecandosi una con l’altra. Pezzi di frasi si completano e prendono significato saltando di bocca in bocca o talvolta si ripetono per diventare suono. Sono due bambine, Elena (la narratrice) e Lila, nel loro quotidiano rionale, popolato di figure e luoghi paurosi e attraenti. Complicità e sadismi infantili ne suggellano una lunga amicizia, fino alla vecchiaia, da quando Lila getta la bambola di Elena nel buio di una cantina ed Elena per emulazione compie lo stesso gesto.

L’emozione cresce con la discesa nel terrorifico antro, nell’inutile ricerca delle due bambole. Tina e Nu sono sparite! Ma nella seconda parte, ritrovando le due figure in nero, crediamo siano forse le bambole perdute, per quel movimento che si fa più meccanico, con le voci alterate da distorsioni sintetiche. Mentre la realtà si rifrange nelle scritture di Toti Scialoja, Wislawa Szymborska – da cui si è rubato il titolo – e nel lungamente frequentato, col Mago di Oz, L. Frank Baum.