Non esiste, come ineludibilmente ribadisce l’attualità bellica e post-pandemica, sfera alcuna della vita personale – domestica, relazionale, lavorativa, transazionale – avulsa dall’ingrovigliato reticolo della matassa comunitaria e pubblica, che non si lasci contaminare dalla circostanza, e autorizzi la rimozione chirurgica da parte tanto del singolo quanto della coscienza collettiva. Tuttavia, in tempi di dissesto socio-economico, risulta inevitabile per l’individuo subordinare il suo ruolo di attore politico alle esigenze vincolate con una sussistenza sempre precaria, dove il potere acquisitivo determina, con un margine irrisorio di negoziazione, i confini dell’intenzione partecipativa.

Con Alicia che tasta con inquietudine le tasche vuote della sua divisa da cameriera di chiosco anonimo nella stazione di Atocha, a Madrid, si apre il sottile e valente intreccio di Le meraviglie di Elena Medel (delicatamente tradotto da Silvia Sichel, Einaudi (pp. 183, € 18,50). Articolando una convincente alchimia combinatoria tra vicissitudini individuali e storia condivisa della Spagna contemporanea – la senescenza e successiva morte naturale del Franchismo, l’irrefrenabile e colorato consolidamento della democrazia negli anni Ottanta con il primo trionfo elettorale del socialismo, il presente in recessione dalla crisi economica del 2008 – il romanzo rifugge le etichettature semplicistiche per proporsi, al contrario, come un produttivo punto di contatto tra – e confronto con – argomenti intercalati, nessuno prevaricante e tutti ugualmente pulsanti e strutturali in un contesto situazionale, il nostro, intimamente condiviso tra chi scrive e chi legge.

Le meraviglie non è una saga familiare né un racconto di formazione, eppure i contorni che ne definiscono il perimetro, sempre aperto, sono le rette parallele tracciate da due percorsi di vita, quello dell’ormai settantenne María e della giovane Alicia, afferenti allo stesso nucleo e, ciononostante, incoscienti l’uno dell’altro a causa di una frattura transgenerazionale mai ricomposta.

Non è un saggio di politologia contaminato di narrativa, ma si espone ugualmente come riflessione panottica sul denaro, sulla proprietà e sul potere, e su come il soggetto possa agire con fare resiliente o connivente rispetto al determinismo sociale innescato dal suo status quo di partenza nei contesti economico, familiare, di genere e abitativo. Non è una narrazione storica né memorialistica, ma misura con taglio universale i difetti posturali che la contemporaneità ha ereditato dalle storture della storia del secolo scorso.

Con una distintiva commistione tra garbo e incisività, Medel affronta questioni composite come la maternità non conforme alla norma sociale, il ruolo, nel tessuto sociale spagnolo, dell’attivismo fomentato dalle piccole associazioni di lavoratori e di vecinos, la semantica dell’ultimo sciopero internazionale delle donne nel 2018, la lotta tra poveri che foraggia quotidianamente l’economia e il sistema lavorativo del neoliberalismo. Lo fa muovendo i suoi personaggi per la topografia, ora marginale ora benestante, di una Madrid che cambia veste a seconda degli accadimenti storici di cui si fa sfondo e che, da metropoli matrigna meta di migrazione economica o di inerzia esistenziale, diventa sacco amniotico nel quale ci si mantiene a galla con movimenti lisergici o che, al contrario, viene squarciato alla ricerca di uno spazio e di una voce propri.

Le micro-storie personali, che compongono il mosaico policromo delle Meraviglie restituiscono, sempre in tensione, il ritratto intrinsecamente politico di una storia-massa che si riflette sul lettore con un coinvolgimento impietoso. Un magistrale gioco di riconoscimenti e superfici riverberanti con il quale Elena Medel, già poetessa affermata, debutta con sorprendente sicurezza come abile radiografa del nostro tempo nella suggestiva cartografia complessa della prosa contemporanea in lingua spagnola.