Alnwick Castle, Gran Bretagna, contea del Northumberland

 

Ad Alnwick, remoto sito medievale, vicino alla Scozia, accanto al mare e sul fiume Aln, venne fondato un castello verso la fine dell’anno mille che tempo dopo appartenne ai Percy, ancora oggi proprietari. La loro storia dunque è lunga e forse un po’ tediosa – abbreviamola di qualche secolo per arrivare al momento che ci interessa. Nel 1740 Elizabeth Percy sposò un bellimbusto non sciocco, di nome Smithson, Sir Hugh Smithson, baronetto ma certo non pari al padre di Elizabeth che portava il titolo di Duca di Somerset e Conte di Northumberland. Il matrimonio, nonostante le disparità, ebbe grande successo. Alla morte del padre Elizabeth ereditò parte dei titoli, molti mezzi ma non il ducato. Questo arrivò dopo: la coppia ebbe prima la designazione di conti di Northumberland e poi di duchi nel 1766. La carriera del primo Duca di Northumberland era allo zenit essendo stato prima una sorta di governatore (Lord Liutenant) di Irlanda. Godeva ormai in pieno il favore di Giorgio III e poté iniziare coi requisiti necessari a restaurare, per non dire rifare, un castello in rovina, sede del proprio appellativo. Un’altra residenza aveva a Syon House verso la capitale, e a Londra Northumberland House (distrutta in peno Ottocento). Il bel Sir Hugh Smithson era diventato uno degli uomini più celebri del regno dimostrandosi all’altezza della fama e i suoi discendenti vanno in linea diretta fino all’attuale dodicesimo duca, Ralph George Algernon Percy.
Il carattere di Alnwick non può dirsi gotico e nemmeno neogotico ma una sorta di sogno letterario detto anche «gingerbread gothic» seguendo un po’ per celia le idee della casa di Horace Walpole, Strawbery Hill. Al primo Duca si deve una intelligente riforma dell’amministrazione agricola dei suoi possessi e il frutto fu il miglioramento della dimora. Celebri sono i boschi e i giardini che attorniano queste costruzioni medievali ai quali intervenne Capability Brown, uno dei più famosi paesaggisti inglesi del Settecento. Formidabili sono oggi i non pochi, immensi, cedri del Libano. Alnwick divenne un insieme di costruzioni bizzarre quanto originali e fu effigiato con grande efficacia dal Canaletto che entrò nelle grazie della famiglia per la quale dipinse le tre sedi del casato, fra le più inconsuete immagini del genere dell’intero secolo, al punto che il veneziano divenne per gli inglesi «an English painter».
È assai difficile spiegare l’aspetto odierno di questo grandioso edificio che fu ricostruito dalle rovine con criteri talvolta contraddittori. James Paine intervenne verso il 1769; precedentemente John Adam (il più vecchio dei fratelli Adam) si era limitato a idee astratte; poi arrivarono i progetti di Robert Adam che disegnò ambienti e mobilia nei quali si riconosce il suo straordinario talento. Ma le sue creazioni non durarono a lungo, sebbene siano da considerarsi una delle chiavi di volta del nuovo gusto, il neogotico. Il grande trono che disegnò nel 1780 per la cappella di Alnwick – che ancora lì resta – è una trascrizione romantica del trono di Edoardo il Confessore su cui sono incoronati i sovrani britannici. Altre cose furono cambiate di posto, come il camino del salone – dove si appaiavano elementi classici e gotici –, ancora ad Alnwick ma non nel posto per cui era stato disegnato.
Più tardi, nell’Ottocento, i duchi del momento si rivolsero nei loro frequenti viaggi italiani al segretario di Stato di Pio IX, il Cardinal Antonelli, che li introdusse a Luigi Canina e a vari artisti italiani. A questi artefici si devono le rifiniture interne dell’ala moderna di Alnwick, persino gli immensi camini in marmo di Carrara scolpiti a Roma. I loro nomi sono oggi più famosi in Inghilterra che in Italia anche se non sempre si menziona il loro nome di battesimo, come accade per Nucci e Strazza, ma altri sono più noti, come il pittore Alessandro Mantovani e l’architetto Giovanni Montiroli che diresse in sito i lavori per lunghi anni. Come ricordo personale voglio raccontare di aver trovato a Firenze in piena alluvione vari fogli danneggiati dall’acqua ma perfettamente leggibili e scritti in italiano concernenti Alnwick: i disegni erano di buona mano ma non so che fine abbiano fatto. Credo di averli donati a un compagno di studi.
Ad Alnwick si conserva una raccolta di quadri italiani, perlopiù veneziani, elencati nei volumi di Bernard Berenson (Bonifazio, Cariani, Lotto, Palma il Vecchio, un enorme Sebastiano del Piombo, Tiziano), qualche ritratto di grande classe di Van Dyck, un formidabile Claude Lorrain. Nel 1823 il terzo duca acquistò due grandi stipi di cui si ignorava ancora l’identità: solo nel 1930 questa fu rintracciata da Margaret Jourdain. Erano appartenuti a Luigi XIV, ed erano opera di artisti italiani attivi in Francia nella manifattura di pietre dure dei Gobelins. Sono fra i pochissimi mobili di proprietà del Re Sole oggi sopravvissuti e sono descritti con chiarezza nell’Inventaire des Meubles de la Couronne à l’epoque de Louis XIV ai numeri 372-373. Datano al 1683 e sono pressoché intatti: fra l’altro conservano il medaglione coronato in alto con la doppia L allacciata del sovrano.
Ebbi modo di pubblicare nel mio libro Il Gusto dei Principi (1993) i documenti relativi a questi mobili meravigliosi e alla loro storia che inizia quando i lapicidi fiorentini Ferdinando e Orazio Migliorini, Gian Ambrogio Giacchetti e Filippo Branchi si recano in Francia accettando le richieste di Colbert e di Mazarino. In Francia rimasero al servizio del re per lunghissimi anni, diretti da un italiano di Todi, Domenico Cucci, che si era probabilmente formato a Roma come bronzista. Gli artigiani fiorentini avevano invece appreso il mestiere nella Galleria dei Lavori di pietre dure del Granduca e dunque le loro opere erano d’aspetto italiano ma il gusto era diverso, in un certo senso gallico come i giardini del Re nei quali, all’opposto, si manifestava l’arte di un francese, Le Nôtre, venuto a studiare in Italia. Dopo tutto Luigi XIV era per un quarto italiano.