Non è davvero una bella atmosfera quella che si respira oggi in Afghanistan. L’offensiva talebana di primavera, puntuale come ogni anno, colpisce nella capitale (appena qualche giorno fa quando a farne le spese è stata anche una connazionale ferita in un attacco talebano nell’area che vede presenti sedi internazionali e dell’Onu) e ogni giorno nelle aree rurali. Ieri un ordigno è esploso al passaggio di un mezzo dei militari italiani nella provincia occidentale di Farah ferendo due soldati. I militari coinvolti, bersaglieri del Sesto reggimento di Trapani e che si trovavano a bordo di un blindato Lince, sono stati subito soccorsi ed evacuati.

Ad esplodere è stata un’autobomba, presumibilmente azionata a distanza, mentre il convoglio si stava dirigendo da Farah a Bala Boluk. I talebani locali hanno rivendicato l’attacco sostenendo che «cinque italiani sono morti» e che l’azione è stata compiuta «da un kamikaze». In un breve comunicato il portavoce talebano Qari Yousuf Ahmadi ha sostenuto che «l’attacco suicida» è stato effettuato alle 9,30 locali vicino a Bala Boluk.

Il fronte della guerra gioca dunque a fondo la carta psicologica: l’importante è continuare a colpire e possibilmente senza farsi prendere, evitando cioè le battaglie campali e utilizzando ordigni (Ied) nascosti sul ciglio della strada o autobombe. Solo nelle città la guerriglia gioca la carta shaid, «martiri» che si fanno saltare o disposti a tener duro finché non vengono fatti fuori: morte certa infatti ormai per chi si avventura nei centri urbani, blindatissimi e in realtà gli unici luoghi abbastanza sicuri del Paese. La scommessa sono invece le strade che restano in ostaggio della guerriglia o della malavita che si trincera dietro un turbante nero: check point che salassano i camionisti, Ied o sequestri di persona (afghani specialmente), un’attitudine che si è rafforzata da qualche anno anche a Kabul ma di cui non si parla molto. I talebani stanno cercando di minare le speranze per il 2014 cercando di seminare paura, di far passare l’idea che il Paese è ostaggio della guerriglia e che il governo ha i giorni contati.

A Kabul però i giochi non si fermano, specie quelli in vista delle elezioni. Si attende che il candidato del capo dello Stato uscente si faccia ufficialmente avanti prendendo le sembianze, come ha recentemente anticipato un altro fratello del presidente, del maggiore della famiglia: Quayum Karzai (classe ’53). Tra gli altri, l’attuale ministro dell’istruzione Farook Wardak, in quota al partito radicale Hezb-e-islami, e l’agguerrita parlamentare Fawzia Koofi, attualmente impegnata in difesa del decreto legge che punisce le violenze sulle donne e che una parte del parlamento vorrebbe cancellare.

Quanto ai talebani, Karzai fa sempre mostra di grandi aperture e in una recente intervista alla Sueddeutsche Zeitung si è persino augurato che corra per le presidenziali del prossimo 5 aprile anche mullah Omar. Apertura che per ora ha trovato solo porte chiuse.