Ronnie, un uomo sulla trentina, si ferma sulla porta di casa dove abita una giovane donna che conosceva sin da quando era bambina. Ora, con sua piacevole sorpresa, quella ragazzina è cresciuta. Frances, il nome di lei, sta masticando una caramella con il ripieno al limone. Ronnie le chiede se la può assaggiare. La ragazza dopo una fugace incertezza, si leva la caramella di bocca e gliela passa. Lui, invece di succhiarla con pazienza per gustarsi il meglio alla fine, la mastica per arrivare al succo.

In un certo senso Legend, quinto lungometraggio di Brian Hengeland si può brutalmente riassumere in quello che a tutti gli effetti appare come un presagio fatale. Noto più per le sceneggiature, soprattutto per quelle di L.A. Confidential e Mystic River che gli sono valse un Premio Oscar e una Nomination, Helgeland qui si trasferisce nella Londra degli anni Sessanta per scrivere e dirigere le imprese criminali realmente accadute dei gemelli Ronnie e Reggie Kray, entrambi interpretati da Tom Hardy. Come nota a margine, nel 1990 il regista Peter Medak per The Krays affidò le parti ai fratelli Gary (Ronnie) e Martin (Reggie) Kemp.

Una vera e propria performance trasformista quella di Hardy perché i due gemelli sono totalmente diversi. Ronnie «assetato di sangue, irrazionale e anche buffo», dichiaratamente gay («non devi nascondere quello che sei altrimenti diventi molto infelice»), probabilmente schizofrenico paranoide, condannato a tre anni di carcere, uscito da un ospedale psichiatrico con un’utopia in mente: costruire una città per i bambini in Nigeria.

Reggie, «un uomo che non ha paura di lottare», che prende amabilmente in giro i poliziotti costantemente alle sue calcagna e che si innamora di Frances (Emily Browning), nel film la voce fuori campo incaricata di narrare retrospettivamente le vicende criminali dei due fratelli.

Una storia che racconta la classica ascesa e caduta senza redenzione di una banda. E più che la rivisitazione di un’epoca prossima al Sessantotto, e l’adesione a un genere, con le sparatorie, gli ammazzamenti, le brutalità, che sono presenti ma in piccole dosi, Hengeland sembra interessato a disegnare le traiettorie di tre esistenze umane.

Ronnie (decisamente più avvincente come personaggio) e Reggie vogliono regnare su Londra e vi riescono. Una volta impadronitisi dell’intera città, poliziotti e politici compresi, stringono un patto con la mafia d’oltreoceano e diventano un marchio che non deve nemmeno eccedere nell’uso della forza tanto è il terrore che esso incute. Il problema è che a Ronnie di volta in volta piacerebbe esercitarsi in un’«opera di persuasione».

Mentre Reggie, diviso tra l’indicibile piacere di essere un gangster e il condurre gli affari in modo apparentemente pulito, è come se fosse tirato da due forze opposte, da un lato il fratello e i demoni che evoca, dall’altro Frances, il fragile ideale dietro il quale provare a nascondere il suo lato oscuro. Ma a nascondersi, come affermava Ronnie, si finisce col diventare molto infelici.