Atteso con grande curiosità, dopo l’Oscar di due anni fa, il nuovo film di Barry Jenkins sembra decisamente un oggetto di retroguardia nell’anno di Black Panther, di Sorry to Bother You e dello Spike Lee di Black KKKlansman; senza contare le due stagioni di Atlanta.

Il REGISTA di Moonlight vira sul film d’epoca, adattando il penultimo romanzo di James Baldwin, ambientato nella Harlem degli anni settanta. Quel feeling ripulito, addomesticato, quasi leccato, che correva già nel dna di Moonlight, è in piena vista in Se la strada potesse parlare, realizzato con il sostegno delle casse ben fornite di Annapurna. Costumi da stilista, strade e interni curatissimi, (Mark Friedberg, lo scenografo, è un abituale collaboratore di Todd Haynes e Wes Anderson), musica wall to wall, primi piani interminabili, è la storia di Fonny (Stephan James, il galeotto del terzo episodio di Moonlight) e Tish (Kiki Layne), due figli della piccola borghesia afroamericana di Harlem, amici da quando erano bambini e giocavano con la schiuma nella vasca da bagno; e la cui intimità fraterna sboccia in una storia d’amore, durante una sera spesa giù al Village. Il ritratto delle rispettive famiglie è schematicamente tratteggiato il giorno in cui Tish torna a casa e confida a sua madre (Regina King, che buca magnificamente la patina ingessata del film) di essere rimasta incinta – generosa e comprensiva quella di lei, mentre quella di lui (forse leggermente più benestante) è funestata da una madre iper-religiosa e da due sorellastre come quelle di Cenerentola.

IL PROBLEMA  di Tish, e delle due famiglie, è che Fonny è in prigione, accusato di aver violentato una donna portoricana nel Lower East Side. L’avvocato che lo difende è un giovane bianco, fresco di Ivy League, un ragazzo ben intenzionato, ma che può poco di fronte alla versione dei fatti di un poliziotto bianco e corrotto e una testimone/vittima confusa che improvvisamente scompare del tutto.
Il film si gioca tra le visite in prigione di Tish a Fonny, i flash back della loro storia, e il crescendo verso il processo, che include un disperato viaggio della mamma in Porto Rico, alla ricerca della testimone fuggitiva. La storia, i personaggi, i precisi dettagli sociali e culturali, come descritti da Baldwyn, sarebbero vividi, emozionanti, ma non respirano/ispirano, schiacciati come sono da un formalismo maldestro, eccessivo, che fa pensare al cinema sensuale, dilatato di Won Kar Wai senza sesso. Moralista.