Ore 8.30: Basovizza è già chiusa dentro un cordone di uomini armati. Camionette della polizia setacciano tutte le strade che da Trieste salgono verso il borgo carsico, jeep dell’esercito agli incroci, uomini in divisa slovena all’ex valico confinario. La «bonifica» è cominciata domenica: edifici, terreni, strade, cespugli, lunedì tocca alle persone. Non passa uno spillo, è la giornata dei Presidenti di Italia e Slovenia a Trieste.

IL TEMPO È speciale: il mare di quel blu profondo che ha sempre quando c’è vento, il Carso che risplende verdissimo, le pietre bianche e il rosso dei gerani, profumo di rose e di rosmarino. Difficile staccare il cuore da tanta bellezza, difficile concentrare l’attenzione sulla storia disperata di queste terre, pensare alle pietre del Carso inzuppate di sangue, a due guerre mondiali che a questi luoghi hanno chiesto un tributo indicibile.

Sergio Mattarella e Borut Pahor arrivano puntuali: alle 11 l’alza bandiera nella Caserma del Piemonte Cavalleria e poi via, prima sulla foiba e poi al monumento ai quattro giovani fucilati dai fascisti il 6 settembre 1930. Presenti i rappresentanti della Lega Nazionale e di alcune associazioni di esuli sulla foiba ma non al monumento agli antifascisti; qualche rappresentante della minoranza slovena di Trieste al monumento e non sulla foiba. Dai boschi intorno, nel prato con il cippo ai quattro fucilati, arrivano alla spicciolata gruppetti di persone ma la polizia interviene e nessuno riesce ad avvicinarsi.

POCHI MINUTI senza mascherina anti-covid, un accenno di inchino e i due Presidenti mano nella mano restano brevemente sull’attenti: una sola corona con i colori italiani e sloveni affiancati. Con intorno solo pochi invitati, i due Presidenti propongono quel gesto silenzioso che diventerà la fotografia della giornata.
Visite brevi, essenziali, silenziose, poi di nuovo in macchina lungo la strada che scende fino al centro di Trieste.

Milan Pahor torna a piedi verso casa: è il Presidente del Comitato per le onoranze ai fucilati di Basovizza e cerca di trasmettere positività: «Finalmente un omaggio ai nostri ragazzi. La presenza del Presidente Mattarella sul monumento ai quattro junaki (eroi) significa ridare loro dignità, significa riconoscere che non sono terroristi ma gente che ha fatto del bene anche per l’Italia».

NEL SETTEMBRE del 1945 l’omaggio ai quattro antifascisti era stato incredibilmente unitario: al Comitato d’onore avevano aderito tutte le componenti dell’antifascismo locale, dal Cnl al Partito d’Azione al Partito Democristiano, dalle formazioni jugoslave a quelle italiane: all’inaugurazione del monumento le corone d’alloro erano state deposte anche da un picchetto d’onore di ufficiali anglo-americani. Poi, in Italia, l’oblio e semmai l’accusa di terrorismo anti-italiano.

«Certo non sono contento di questo parallelismo con la foiba. Certo, oggi doveva essere una giornata dedicata solo al Narodni Dom. Ma figuriamoci le pressioni, soprattutto da Trieste e dagli ambienti di destra. Ne è venuta fuori questa matassa aggrovigliata in cui ognuno vede quel che vuole», continua Milan interrotto da un giovane che, con un mezzo sorriso ironico aggiunge: «È che noi sloveni ormai lo sappiamo, se facciamo un passetto in avanti poi dobbiamo pagare dazio!».

ALLE 12.30 Mattarella è già in Prefettura. Ci sono anche i ministri Di Maio, Lamorgese e Manfredi. Il Presidente sloveno arriva dopo dieci minuti, rallentato all’uscita di Basovizza da qualche decina di persone che hanno voluto contestargli l’avvenuto omaggio alla foiba. Si sottoscrive il documento d’intenti che ridarà alla comunità slovena di Trieste, attraverso una Fondazione ad hoc, il Narodni Dom. Poi una visita veloce al Narodni Dom prima di pranzo. In lontananza un centinaio di persone che aspetta i Presidenti da dietro le transenne che bloccano la strada, tante le magliette del Coro partigiano triestino che ha preso il nome da Pinko Tomažič, uno dei cinque fucilati nel 1941 dopo il secondo processo del Tribunale speciale fascista a Trieste: alla vista di Borut Pahor sale forte Vstajenje Primorske, l’inno degli sloveni del Litorale.

Si commuove, a sentirlo, anche lo storico italo-sloveno Jože Pirjevec (famoso il suo saggio uscito da Einaudi sulla storia delle foibe) che fino a ieri era stato scettico e particolarmente critico verso la visita del Presidente Pahor alla foiba: «Mi sono commosso a sentirlo, è vero, ma confesso che mi è successo anche vedendo i due Presidenti mano nella mano: ritengo sia stato un gesto di civiltà e una lezione, soprattutto per Trieste».

E QUEL CANTO fuori dal Nardoni Dom? «È l’inno del Litorale, della minoranza slovena in Italia, del suo rialzarsi dopo l’oppressione fascista. Pieno di storia e di emozione. In Slovenia quando viene eseguito ci si alza tutti in piedi. E credo sia davvero tempo di alzarsi in piedi anche adesso, ma davvero tutti assieme».