In una giornata densa di ricorrenze (l’Immacolata e il cinquantenario del Vaticano II) e di gesti dal forte carattere simbolico (primo tra tutti, la presenza di due papi alla cerimonia), la Porta Santa di San Pietro è tornata ad aprirsi per il Giubileo «straordinario» di papa Francesco.

A sovraccaricare ulteriormente l’attenzione era l’attesa per il discorso di un papa che con sapienza «gesuitica» gestisce la dimensione massmediatica della sua missione. Da questo punto di vista, lo strumento del Giubileo, espressione storica del potere della monarchia papale, è perfettamente in sintonia con la visione di Bergoglio sul valore missionario della «pietà popolare» e sul potere della Chiesa di Roma nell’amministrarla.

Tuttavia, è stato lo stesso Francesco a spiegare nell’omelia in che senso il suo progetto pastorale debba essere interpretato oggi che della Cristianità non è rimasto neppure il mito. Se a Bangui il pontefice si era rivolto espressamente ai poteri secolari parlando di pace e di ecologia, nel discorso di ieri invece ha privilegiato la dimensione intraecclesiale, interamente incentrata sulla categoria della «misericordia». In un discorso breve, ma ricco di riferimenti espliciti ed impliciti, Francesco ha ribadito che «la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’amore che perdona».

Come in più occasioni ha sottolineato Raniero La Valle, il neologismo coniato da Bergoglio «misericordiare», che non significa fare la misericordia, ma mostrare che Dio è misericordia, rimane quindi la cifra interpretativa della sua missione, un’azione pastorale che mette da parte il binomio colpa/condanna (e quindi stravolge l’impianto tradizionale dell’indulgenza) e sceglie la strada della comprensione e del perdono. Le implicazioni politiche di tale impostazione sono oggi abbastanza chiare: dalla dismissione (o quantomeno la derubricazione) della polemica ratzingeriana contro la società relativista all’impegno del papa contro la «globalizzazione dell’indifferenza».

Nuovamente sul piano dell’auto-rappresentazione si spiegano anche i passaggi dell’omelia dedicato al Vaticano II.

Nel corso della celebrazione di ieri, in coincidenza con il cinquantenario della conclusione del Concilio, sono stati letti alcuni brani tratti dalle quattro costituzioni conciliari e dalla dichiarazione sulla libertà religiosa. Da parte sua, Francesco è intervenuto sull’annosa polemica relativa all’ermeneutica del Vaticano II affermando che la carica riformatrice dell’evento è andata ben oltre la scrittura di quei documenti.

Contro tutta una tendenza ecclesiastica che ha cercato di ridimensionare la portata del Vaticano II appellandosi alla continuità della tradizione, il papa ha celebrato la memoria dell’assemblea voluta da Giovanni XXIII (da Bergoglio santificato) per aggiornare il profilo della Chiesa e «uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa».

Si tratta di affermazioni di un certo peso negli ambienti della cultura cattolica e che confermano come per papa Francesco il Concilio sia una bussola imprescindibile per orientare la sua missione di misericordia, «per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro…».

Lo «spirito del Concilio» torna dunque in auge marcando una significativa discontinuità con la linea del papa emerito presente ieri in San Pietro.

Sarebbe comunque un errore interpretare la giornata di ieri, e il pontificato di Francesco in generale, semplicemente come un ricorso storico. Certo, le celebrazioni favoriscono operazioni di questo tipo, tuttavia va detto che dopo la svolta (in larga parte incompiuta) del Concilio, gli ultimi cinquant’anni, quelli del pontificato carismatico di Wojtyla in particolare, hanno lasciato un segno nella Chiesa che si può riscontrare nella decisione stessa di Bergoglio di indire un Giubileo «straordinario», cioè di riprendere uno strumento che conserva un carattere auto-celebrativo e romano-centrico.

Anche attraverso lo strumento giubilare, Francesco è un papa che fa una pastorale di massa e con le masse. Da questo punto di vista, è perfettamente in linea con la politica dei nostri tempi.

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