Il pesce fa bene. I dottori ci esortano a consumarne di più. Pensate agli acidi grassi omega-3 e alla loro importanza per la nostra salute contenuti nel pesce azzurro, abbondante nei nostri mari e il cui costo, tra l’altro, è decisamente ridotto rispetto a quello di altre specie. Più che consumare di più bisogna consumare meglio. Quando si parla di pesce la truffa ai danni del consumatore è in agguato. Spesso la responsabilità è anche nostra, o meglio dovuta alla nostra pigrizia che ci porta a preferire pesci già sfilettati e pronti all’uso. Quindi, come in molti altri ambiti, il consumatore deve essere consapevole del proprio ruolo, del potere e della responsabilità che ha nel momento della scelta di un prodotto da portare in tavola sull’economia, sull’ambiente e sulla propria salute.

LE PIU’ COMUNI FRODI POSSONO ESSERE: la sostituzione di specie, quando viene venduto un pesce diverso, di minor valore, rispetto a quanto segnato in etichetta; l’indicare una provenienza diversa dalla reale; la vendita di pesce decongelato per fresco e allevato per pescato; il pesce da mangiare crudo non sottoposto ai dovuti trattamenti per evitare la presenza di vermi e parassiti (anisakis); l’alterazione delle caratteristiche organolettiche (odore, colore, consistenza) attraverso l’uso di sostanze chimiche o processi illegali. Alcune di queste truffe incidono solo sul portafoglio del consumatore, altre anche sulla sua salute. Nonostante le pene, molti ci provano.

Allora come possiamo muoverci? Il primo passo è trovare un venditore di fiducia. Sento già i commenti a questa affermazione. Ma è vero. Come spesso impieghiamo ore a cercare il negozio giusto per altri generi merceologici, dedichiamo più tempo e attenzione anche per quelli alimentari. Poi, per un acquisto consapevole, è importante sapere cosa deve essere scritto in etichetta. Sì anche il pesce ha la sua etichetta che deve obbligatoriamente riportare: denominazione commerciale del pesce e il nome scientifico (questo nel commercio al dettaglio lo si può trovare anche su un poster complessivo ben esposto); metodo di produzione: pescato (per quello di mare), pescato in acque dolci o allevato; stato fisico: se è decongelato o congelato e l’indicazione che il prodotto deve essere consumato nelle successive 24 ore; la provenienza: deve essere indicato il mare di cattura e, se allevato, la nazione di provenienza; la presenza di additivi.

Ma i furbetti della pescheria, come sappiamo dal rincorrersi di notizie su denunce e sequestri, vanno oltre l’etichetta e allora troviamo filetti di pangasio venduto come nasello e platessa al posto della sogliola. Pesce palla smerciato come rana pescatrice, diverse specie di squaliformi spacciati per pesce spada, filetti di persico africano invece del persico nostrano o della cernia. Moscardini in un attimo diventano polpi o le orate di allevamento trasformate in orate di mare aperto o cappe asiatiche in ottime vongole nostrane, l’alaccia in sardine. Oltre la bontà e il minor costo del pesce che ci viene venduto (spesso le differenze sono notevoli), la cosa più preoccupante è l’origine e il valore nutrizionale.

PRENDIAMO PER ESEMPIO IL PANGASIO: sino qualche anno fa presente in molte mense scolastiche (allarme lanciato da Slow Fish), è un pesce dallo scarso valore nutrizionale (contiene tanta acqua, poche proteine e pochi grassi buoni) allevato, prevalentemente, in Vietnam in uno dei fiumi più inquinati al mondo, il Mekong. Lo stesso discorso vale per il persico allevato nel lago Vittoria in Africa. Se si osservano i pesci con attenzione, tra l’originale e l’imitazione c’è una bella differenza riconoscibile anche dai non esperti (le file di ventose presenti sui tentacoli del polpo sono due mentre il moscardino ne ha una, il nasello ha una cute di colore grigio argenteo, due pinne dorsali e una anale, mascella inferiore prominente e assenza di barbiglio sul mento), la cosa si complica invece se si parla di filetti o dei così detti pesci bistecca (pesce spada, tonno per citare i due più comuni).

MOLTO AMBITI PERCHE’, IL PIU’ DELLE VOLTE, li troviamo sul banco pronti all’uso. Perché la colorazione si avvicini ancora di più ai pesci nostrani ecco che i filetti vengono trattati con speciali additivi. Alcuni di questi sono previsti dalla legge ma devono essere dichiarati in etichetta per correttezza e per prevenire allergie, altri no, come l’acqua ossigenata. Quest’ultima dal 2016 è lecita per sbiancare seppie, totani e calamari eviscerati e commercializzati decongelati o congelati, ma non viene dichiarata in etichetta perché considerata «coadiuvante tecnologico» e non additivo alimentare: per difendersi basta evitare di comprare cefaloidi troppo bianchi. Ci sono, poi, additivi leciti usati per finalità fraudolente. Prendiamo ad esempio il tonno. La colorazione rossa può essere data dai nitrati o dal monossido di carbonio usati per ritardare l’ossidazione (imbrunimento) nella zona del taglio e per spacciare tonno pinne gialle per tonno rosso (molto più costoso).

QUINDI BASTA EVITARE DI COMPRARE TRANCI di colore rosso vivo. I filetti sono anche vittima dei polifosfati usati per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentarne il peso. Per evitare questo tipo di frode basta comperare pesce fresco intero e farselo sfilettare in diretta. Occorre precisare che la legge prevede l’utilizzo di alcune di queste sostanze quando è necessario, quando si riscontra un effettivo vantaggio per i consumatori, quando il loro uso non induce a credere il falso e, ovviamente, non costituire un rischio per la salute. Quindi devono essere maneggiate da persone esperte, perché se si sbagliano le dosi anche quelle leciti diventano dannose. L’aspetto su cui bisogna riflettere è che molte volte gli additivi sono usati in modo improprio per mascherare il reale stato di freschezza, variando la colorazione, l’aspetto o aumentando il peso in modo artificiale.