Quando le agenzie di stampa comunicano il calendario del nuovo giro di consultazioni al Quirinale con oltre un’ora di anticipo sulla deadline fissata dal Colle, le 19, il capo dello Stato non trattiene un attimo di franca irritazione. Il momento è delicatissimo, con lo stato maggiore dei 5S riunito in conclave per una risposta che sul Colle non viene affatto data per scontata. Persino una bazzecola come l’anticipazione imprevista può creare scosse dall’esito imprevedibile, tanto da far sospettare un tentativo di sabotaggio.

Nulla di tutto questo: solo un bravo cronista. Ma l’episodio rivela la tensione con cui il capo dello Stato ha atteso l’esito della lunga giornata di ieri. Anche dopo la scelta del Pd di accettare Giuseppe Conte come presidente del consiglio la situazione restava in bilico e in realtà lo è rimasta anche dopo le fatidiche 19, perché il nodo delle richieste di Luigi Di Maio, interni, vicepremier e commissario europeo assegnati ai 5S è stato rinviato al vertice dei due leader con Conte delle 21.

Il presidente, in questi giorni, ha fatto il possibile per sottolineare la sua neutralità nella scelta tra elezioni e nuova maggioranza. Non ha speso una parola di troppo. Ha ostentato freddezza e scetticismo. Ha persino evitato di farsi scappare un sorriso. Doveva essere evidente che la decisione di proseguire con questa legislatura è stata assunta dai partiti senza spintarelle o pressioni. Ciò non significa che Sergio Mattarella non auspicasse di poter evitare la fine prematura della legislatura e proprio la tensione di ieri lo dimostra.

Ora, salvo sempre possibili incidenti all’ultimo minuto, le cose cambieranno. Domani o giovedì il capo dello Stato affiderà l’incarico, con tempi brevi per definire programmi e squadra. Ma una volta imboccata spontaneamente dai partiti la strada di un nuovo governo l’impresa diventerà interesse nazionale e Mattarella potrà uscire dalla sua «neutralità». L’incarico a Conte gli faciliterà il compito. Tra i due esiste ormai una consuetudine e la stima del presidente nei confronti del premier uscente e rientrante è sincera. Consigli e moral suasion non troveranno ostacoli. Certo Mattarella non metterà direttamente bocca nei programmi, ma si può star certi che resterà in comunicazione con l’incaricato insistendo perché vengano sciolti in anticipo almeno i più vistosi nodi che potrebbero portare al fallimento del nuovo governo. Perché di una cosa Mattarella è convinto: che se il governo parte solo per naufragare in pochi mesi il danno sarebbe notevolissimo.

Quei nodi sono evidenti: prima di tutto la legge di bilancio. E’ prioritario che i due nuovi alleati partano con le idee chiare, almeno nelle linee essenziali, su quella che altrimenti potrebbe rivelarsi una trappola micidiale. Poi la legge elettorale, da sempre è una mina per qualsiasi maggioranza: meglio dirsi le cose apertamente prima di salpare. Non sarebbe male avere qualche certezza anche sul comportamento di Matteo Renzi, se punta o meno alla scissione. Ma quella è una missione impossibile anche per Sergio Mattarella.

Sui ministri il presidente interverrà solo se sarà necessario. Ma con Conte al comando si può dare per certo che la selezione sarà condivisa in anticipo dal primo cittadino. La sua sponda nel governo sarà proprio il premier, anche perché non è prevista la presenza di tecnici, a eccezione di Elisabetta Trenta e di Sergio Costa che sono considerati pentastellati. Agli Esteri Paolo Gentiloni dovrebbe sostituire Enzo Moavero, all’Economia il Pd Antonio Misiani dovrebbe rimpiazzare Giovanni Tria. Le Infrastrutture sarebbero in quota Pd o LeU-Mdp, con Graziano Delrio o Vasco Errani, ma è noto che a quel posto tiene molto il 5S Stefano Patuanelli, indicato invece per ora al Lavoro. Stessa situazione per il Mise, dove i nomi in ballo sono quello della vicesegretario dem Paola De Micheli e quello di Errani. Anche la Giustizia dovrebbe finire nelle mani del Pd, con Andrea Orlando al posto di Alfonso Bonafede. Tra i nuovi arrivi pentastellati Vincenzo Spadafora all’Agricoltura e Lorenzo Fioramonti. Per i renziani sarebbe in squadra Ettore Rosato, uno dei pochi non colpiti dalla fatwa di Di Maio.

I punti critici sono quelli elencati da Di Maio nel tempestoso colloquio con Zingaretti. Gli Interni, prima di tutto. Il leader dei 5S li vuole per sé ma la chance Minniti non è tramontata. Poi il vicepremierato, che per Zingaretti deve andare a un Pd: in pole position Dario Franceschini. Infine il commissario Ue. Ma ormai sembra una di quelle trattative che accompagnano sempre la nascita di un governo. La nave dovrebbe almeno riuscire a salpare e sulla navigazione sarà Mattarella a vegliare.