Un conflitto più radicale che mai attraversa Venezia, ne divide la storia in due epoche, due modelli, uno in atto, vorace, distruttivo, un altro in fieri, dal potenziale enorme, vitale, innovativo, reclamato ieri nella grande manifestazione di comitati e movimenti.

Un conflitto più radicale che mai attraversa Venezia, ne divide la storia in due epoche, due modelli, uno in atto, vorace, distruttivo, un altro in fieri, dal potenziale enorme, vitale, innovativo, reclamato con dettaglio di idee ieri alle Zattere nella grande manifestazione di comitati e movimenti, No Grandi Navi, Sale Docks, Laboratorio Morion, FfF, e tanti altri con il titolo di «Venezia fu-turistica», un gioco di parole colto e provocatorio.

A dividere un prima e un dopo della città, la stagione drammatica del lockdown, della pandemia, con Venezia privata delle folle turistiche, svuotata di grandi navi, ferma, silenziosa, meravigliosa e angosciata. Era solo in parte la vera Venezia. Lo era nella stupefacente bellezza della sua forma urbis, nei silenzi (mai come in quel lungo momento è stata chiara la lezione di Gigi Nono sulla città come «multiverso acustico assolutamente contrario al sistema egemone del suono»), nel suo rapporto integrato con l’acqua, finalmente ferma, trasparente, viva, senza moto ondoso, senza emissioni, come tutta la laguna.

Ma non poteva in alcun modo essere la vera nuova Venezia. Perché, così chiusa e bloccata, sarebbe stata orfana della comunità che l’ha costruita e che non è affatto estinta: sono più di 50 mila i veneziani tra sestieri e Giudecca, 60 mila con le altre isole, 80 mila con il Lido, Malamocco, Pellestrina. Molti meno di una volta, ma ancora tanti.

Nel lockdown era la loro assenza a pesare di più, a creare davvero il vuoto. Erano a casa, ovviamente, ma la clausura ha mostrato come sarebbe la città spingendo al limite il modello che la pandemia ha inceppato: un magnifico luogo per turisti, morto.

Il conflitto, oggi, in tempo di «ripartenza», è tra chi punta, di nuovo, alla monocultura turistica, con gli affari delle lobbies, tra cui quelle potenti delle crociere, della rendita speculativa e affaristica, politicamente spesso trasversali ma rappresentate soprattutto dalla destra al governo della città e della regione, e chi pensa a un altro modello fondato sul ripristino dell’ecosistema lagunare, dissestato da un secolo di manomissioni (Mose compreso) e, nel climate change, ancora più insidiato, sull’estromissione delle grandi navi dalla laguna, sulla bonifica e riconversione di Porto Marghera (molto evocata ieri alle Zattere, anche per il no al progetto di un nuovo inceneritore promosso da Comune e Regione), sul ridimensionamento drastico della monocultura turistica e la difesa strenua del diritto alla residenza, che è anche il diritto per le nuove generazioni a trovare casa e lavoro in città. Questa la Venezia futura possibile: l’opposto, appunto, di quella fu-turistica.