«Una pattuglia di due ufficiali della Guardia nazionale è stata vittima di un attacco all’arma bianca a Sousse. Uno di loro è morto e l’altro ferito, è ricoverato in ospedale», ha detto Houcem Eddine Jebabli, portavoce della Guardia nazionale dopo l’agguato jihadista di domenica in Tunisia.

Le forze di sicurezza hanno inseguito e neutralizzato in uno scontro a fuoco gli assalitori che avevano rubato l’auto di pattuglia e sequestrato le pistole delle vittime, secondo la stessa fonte.

«La polizia e l’antiterrorismo devono essere in grado di identificare chi sta dietro a queste persone e scoprire se hanno effettuato questa operazione individualmente o per conto di un’organizzazione», ha detto il presidente della repubblica Kais Saied che si è recato ieri a Sousse. Sulla scena dell’attacco erano presenti anche il neo primo ministro Hichem Mechichi e il ministro degli interni Taoufik Charfeddine.

Per ora a disposizione c’è la rivendicazione dell’Isis via Telegram, sebbene il gruppo non abbia dato informazioni che confermerebbero la paternità dell’attacco. Sette i sospetti arrestati e 43 persone sotto interrogatorio tra cui la moglie di uno degli uccisi.

Ogni attacco jihadista riporta il paese alla memoria della serie di attentati suicidi dopo la rivoluzione del 2011. Soprattutto al sanguinoso 2015 quando il paese venne colpito da una spirale di attentati rivendicati dallo Stato islamico: nel marzo con l’attacco al museo del Bardo a Tunisi che provocò la morte di 22 persone, a giugno, proprio nella località turistica di Sousse, con la morte di 38 persone – di cui 30 turisti inglesi – e a novembre a Tunisi quando un terrorista si fece esplodere in aria su un autobus che trasportava membri della sicurezza presidenziale, uccidendo 12 militari.

Ripristinato dopo quest’ultimo attacco, lo stato di emergenza è rimasto in vigore da allora ininterrottamente e la situazione della sicurezza è notevolmente migliorata negli ultimi anni, anche se l’insicurezza legata alla minaccia jihadista ha causato un crollo nel settore turistico, fondamentale per l’economia del paese.

Gli ultimi attacchi risalgono al giugno 2019 con un doppio attentato suicida che ha preso di mira agenti di polizia nel centro della capitale e davanti a una caserma (un poliziotto ucciso) e al 6 marzo scorso quando un altro agente della sicurezza nazionale è stato ucciso e altri cinque feriti, in un duplice attentato suicida contro le forze dell’ordine che proteggono l’ambasciata americana a Tunisi.

La minaccia jihadista resta sempre presente nel paese a causa anche della crisi economica e della povertà delle zone rurali e montuose. Una profonda crisi sociale che in questi anni ha favorito il reclutamento di numerosi giovani tra le fila dello Stato islamico (oltre 3mila i foreign fighters tunisini in Siria e Iraq) e dell’altra formazione presente nel paese, il gruppo jihadista di Al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi)

A fine febbraio Aqmi aveva minacciato «una sanguinosa vendetta», confermando la morte di uno dei suoi leader, Abou Iyadh, fondatore del principale gruppo jihadista tunisino vicino ad Al-Qaeda, Ansar Assharia, in particolare accusato di aver organizzato alcuni attentati suicidi contro le forze di sicurezza tunisine.

«Le unità di sicurezza e le forze militari sono in grado di proteggere il territorio nazionale e garantire la sicurezza pubblica. Non conosco le intenzioni di coloro che hanno perpetrato questo atto terroristico, ma non hanno avuto successo in passato e non ci riusciranno in futuro. I loro sogni andranno in frantumi contro un muro chiamato popolo tunisino», ha affermato Saied sulla scena dell’attacco.