Il 12% degli occupati non riesce ad arrivare a fine mese in Italia. Lo sostiene lo studio della commissione Ue sull’occupazione «Employment and Social Developments in Europe Review» presentato ieri a Bruxelles. Solo Romania e Grecia fanno peggio con oltre il 14%. Questo significa che sui 22 milioni e 292 mila occupati registrati dall’Istat a novembre 2013, le persone a cui non basta lo stipendio per vivere sono almeno 2 milioni e 640 mila. Sono i cosiddetti «lavoratori poveri» che crescono insieme ai disoccupati, 3 milioni e 254 mila, in aumento dell’1,8% rispetto ad ottobre (+57 mila).

Il tasso di disoccupazione generale a novembre si è attestato al 12,7%, con un aumento di 0,2 punti percentuali su ottobre e di 1,4 punti su anno. Insieme alla disoccupazione giovanile, giunta al 41,7%, è un record dall’inizio delle serie storiche nel 1977. Secondo l’Istat in sei anni, tra novembre 2007 e novembre 2013 in Italia gli occupati sono diminuiti di 1,1 milioni di unità mentre i disoccupati sono più che raddoppiati passando da 1.529.000 a 3.254.000 (1,725 milioni in più). A completare il quadro, lo studio Ue ha aggiunto un altro tassello. Per chi ha perso il lavoro in questo primo ciclo quinquennale della crisi, le possibilità di trovarne un altro sono tra il 14% e il 15%, le più basse di tutti i 28 Stati membri.

«In Italia non cresce solo la disoccupazione ma anche la povertà» ha commentato il commissario Ue al lavoro Lazlo Andor. Sempre secondo l’istituto nazionale di statistica, nel 2012 le persone in povertà relativa erano il 15,8% della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l’8% (4 milioni 814 mila). Nel nostro paese la sofferenza occupazionale, la disoccupazione e il fenomeno della pauperizzazione riguardano complessivamente più di 15 milioni di persone. Una cifra spaventosa che tuttavia corrisponde a quella europea sul rischio poverta. Secondo Bruxelles, infatti, le persone a rischio poverta ed esclusione sociale sono un quarto dei cittadini europei. Una percentuale più alta della disoccupazione perché riguarda anche chi lavora e ha un reddito basso. Questi sono alcuni degli effetti della recessione iniziata nel 2008. Lo studio della commissione li descrive come una «double dip recession» o «recessione a forma di W», una lettera che riprende graficamente l’andamento del prodotto interno lordo e degli investimenti dal 2008 al 2013. Questa espressione è stata inizialmente usata per l’economia degli Stati Uniti e oggi viene adottata anche per l’Unione Europea. La commissione distingue tre periodi nella recessione: il primo «tuffo» («dip») corrisponde al biennio 2008-2010 quando il numero dei disoccupati in Italia, Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo (i «Piigs»), ma anche in Croazia e a Cipro si è deteriorata. Tra il primo trimestre del 2010 e la metà del 2011 il tasso di disoccupazione è rimasto abbastanza stabile, mentre è aumentato l’indicatore della carenza di manodopera, cioè la condizione economica nella quale i lavoratori qualificati sono insufficienti per rispondere alla richiesta di occupazione ad ogni costo. Il terzo periodo, che dura dalla metà del 2011, ha registrato un aumento vertiginoso della disoccupazione che ha raggiunto, nel settembre 2013, la quota di 19,4 milioni.

Anche dal punto di vista occupazionale si conferma dunque la netta separazione tra i paesi del Sud e quelli del Nord Europa. Nel quinquennio della recessione, i posti di lavoro a tempo indeterminato sono diminuiti per quattro anni consecutivi: 8,3 milioni (-4,6%) dall’ultimo trimestre del 2008. Nello stesso periodo è stata registrata una forte crescita dei part-time e dei lavori precari: 2,5 milioni in più dall’ultimo trimestre del 2008 (+6,4%). Il record è detenuto dall’Olanda con il 49,2%, seguito dal Regno Unito, dalla Germania, dalla Svezia e dall’Austria. L’Italia registra un aumento di poco inferiore a 1,5 milioni di part-time. In questi casi la speranza di trovare un lavoro fisso è crollato tra il 2008 e il 2012 in 24 stati membri, mentre è cresciuto in Lussemburgo, Germania e in Olanda. Danimarca, Cipro e Slovenia. In queste condizioni cresce il tasso degli «scoraggiati», cioè di coloro che pur potendo lavorare non cercano un lavoro, e dei «Neet», in particolare giovani e donne: -3,7% della popolazione europea. Aumenta invece il tasso di attività tra i più anziani: +5 dal 2007 al 2012.