Fallita la precedente previsione, che un anno fa indicava settembre 2014 come termine ultime per l’approvazione della nuova legge elettorale, il governo ci riprova e nelle bozze del Programma nazionale di riforma si tiene largo, indicando il prossimo mese di luglio come scadenza reale. Per allora sarà pronto l’Italicum, garantiscono a palazzo Chigi. Vale a dire un paio di mesi più avanti rispetto a quanto Matteo Renzi ha annunciato lunedì scorso, durante la direzione del Pd convocata per spezzare la resistenza della minoranza.

La resistenza è stata (senza sforzo) spezzata, ma negli atti ufficiali il presidente del Consiglio non dice più «a maggio dobbiamo mettere fine alla discussione sulla legge elettorale», si allunga fino a luglio. Un prudente margine di garanzia, che consentirebbe però un’ultima veloce staffetta dell’Italicum: potrebbe ancora essere modificato dalla camera, a maggio, per finire il suo percorso con una lettura conforme del senato. È quello che chiede la minoranza del Pd, che a questo punto tornerà alla carica, ma non è quello che ha in mente Renzi. Al quale l’Italicum sigillato dall’ultimo patto con Verdini e Berlusconi va benissimo anche e soprattutto per la possibilità di indicare cento deputati da «nominare», cioè da eleggere senza preferenze. Se fin qui ha messo avanti ragioni di «urgenza» che il Piano nazionale di riforma smentisce (e che del resto erano già poco sostenibili visto che la legge è applicabile dal 2016) è stato solo per respingere ogni proposta di modifica. La conferma arriva da una dichiarazione di Ettore Rosato, vice presidente dei deputati Pd e figura in crescita all’interno del circolo renziano: «L’iter è stato lungo e complesso, frutto di una lunga mediazione. Oggi è il momento di decidere e abbiamo deciso di approvare l’Italicum». Niente male anche il ragionamento della vice segretaria Debora Serracchiani, secondo la quale si può discutere ma non modificare: «Se sull’Italicum non si tocca più nulla non mancheranno certo gli argomenti sui quali sviluppare un confronto fecondo». È in questo clima che la legge elettorale comincerà il suo percorso alla camere mercoledì prossimo, in commissione affari costituzionali, affidata alle cure del presidente e relatore Francesco Paolo Sisto, forzista tendenza Fitto. Ha assicurato che – malgrado i renziani siano in minoranza in commissione – riuscirà a consegnare l’Italicum all’aule entro il 27 aprile. Una scadenza che provocherà inevitabilmente tensioni e strappi nel lavoro parlamentare, e che perde di senso ora che l’approdo finale della legge è stato previsto per luglio.

Il Programma nazionale delle riforme è uno dei tre documenti che compongono il Documento di economia e finanza (Def) che il governo è tenuto a presentare alle camere entro il 10 aprile. Le bozze in circolazione tra i ministeri indicano anche dicembre 2015 come data finale di approvazione delle riforme costituzionali (attese a un difficile passaggio in senato). A quella scadenza andranno però aggiunti i tempi del referendum confermativo (previsto per la primavera 2016). Quanto ai contenuti strettamente economici del Def 2016, dovrebbe contenere il previsto aumento della stima di crescita, che passerebbe dallo 0,6% previsto a settembre allo 0,7% se non 0,8%. Il governo però dovrà ricorrere a quel poco di «flessibilità» concessa dall’Unione europea, rinviando il pareggio di bilancio di altri due anni, dal 2017 al 2019. Al pareggio secondo le previsioni dell’esecutivo si arriverebbe con una crescita costante dell’avanzo primario, che passerebbe dall’1,7% del 2014 al 3,9% del 2018.
Il Def è all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri convocato per martedì prossimo, 7 aprile. Per l’approvazione del documento però bisognerà aspettare una riunione di governo successiva, probabilmente venerdì 10, l’ultimo giorno utile per rispettare i tempi di consegna al parlamento.