A settembre di quest’anno l’agenzia di viaggi britannica Thomas Cook è fallita. In pochi giorni il governo ha rimpatriato 600 mila turisti. Nei campi ufficiali in Libia sono rinchiusi in stato di prigionia circa 5 mila migranti». Il paragone utilizzato dal giornalista di Avvenire Nello Scavo, relatore nella conferenza stampa organizzata dal Tavolo asilo ieri a Roma, rende con immediatezza ed efficacia le giuste proporzioni del fenomeno. E questo anche se i numeri non si riferiscono alle decine di migliaia di persone intrappolate nei centri di altra natura sparsi sul territorio del paese nordafricano, lungo le rotte migratorie.

DAL 18 OTTOBRE SCORSO Scavo è sotto scorta in seguito alla pubblicazione sul quotidiano cattolico Avvenire di un’inchiesta che ha svelato la presenza di Abd al-Rahman al-Milad, detto «Bija», in una delegazione libica in visita al Cara di Mineo. Il fatto risale all’11 maggio 2017. In quel periodo l’uomo era a capo della guardia costiera libica di Zawiya, cittadina situata 49 chilometri a est di Tripoli. Bija è entrato in Italia con un regolare lasciapassare, nonostante fosse già stato oggetto di numerose inchieste giornalistiche che ne denunciavano le collusioni con i trafficanti e le numerose violazioni di diritti umani contro i profughi.

POCHI GIORNI DOPO l’incontro in Sicilia, al-Milad è finito al centro di un duro rapporto delle Nazioni unite che ha disposto misure restrittive nei suoi confronti. Al momento le autorità italiane non hanno ancora voluto spiegare come e perché un soggetto pericoloso di quel calibro fosse ospite nel più grande centro d’accoglienza del territorio nazionale (poi chiuso a luglio di quest’anno). In che situazione si trovi adesso Bija non è chiaro. «Il ministro dell’interno libico ha ribadito che su di lui pende un mandato di cattura che al momento non può essere eseguito a causa del conflitto militare – dice Scavo – Altre fonti sostengono che continui a lavorare come comandante della guardia costiera di Zawiya».

DOPO LA PUBBLICAZIONE dello scoop, il giornalista è riuscito a entrare in contatto direttamente con il libico che lo ha poi minacciato. Mentre valutava l’eventualità di denunciare tali fatti, Scavo è stato raggiunto da alcuni funzionari di polizia che gli hanno comunicato l’attivazione di un dispositivo di protezione nei suoi confronti. Poco dopo è toccato anche alla collega Nancy Porsia. La giornalista free lance aveva documentato per prima le attività illecite di Bija, già all’inizio del 2017. «Il mio lavoro è comunque proceduto in autonomia – spiega Scavo – Lo voglio sottolineare solo perché quello che ne è venuto fuori è mia responsabilità, nel bene e nel male».

IL GIORNALISTA preferisce non personalizzare la vicenda, che ha un significato politico molto forte e getta ulteriori ombre sull’asse Roma-Tripoli tanto caro ai diversi esecutivi che si sono succeduti negli ultimi anni. Con il rinnovo degli accordi con la Libia, infatti, il governo italiano continuerà a finanziare lautamente soggetti come Bija. Sorpreso? «No, lo abbiamo sempre fatto – risponde Scavo – E questo nonostante si tratti di un accordo fallimentare in termini di protezione dei diritti umani. Adesso anche l’Onu chiede la chiusura dei campi di prigionia libici. La situazione è chiara a tutti. Quello che non sappiamo è quanti soldi pubblici sono stati spesi».