C’era una volta un re. No. E nemmeno una principessa o una regina crudele. I protagonisti di questa storia sono due fratelli belli e delicati, si chiamano Marguerite e Julien, vivono in un grande castello. Inseparabili e teneramente complici nei loro giochi di bimbi (Frédéric Pierrot e Aurélia Petitsul) sul destino della loro esistenza si ripetono una sola promessa: «Per sempre». Anche se ormai adolescenti vengono separati «per il loro bene» dopo che l’occhio vigile dello zio cardinale (Sami Frey) ha notato con allarme i primi fuochi della loro reciproca attrazione.

 

 
La distanza però accende ancora di più la passione. Lei specialmente, Marguerite, con la sua «grazia malinconica», oppone quel giuramento alla solitudine noiosa dei giorni chiusi in quella piccolissima porzione di mondo. E quando i genitori la obbligano a sposare un nobile crudele contro la sua volontà – le ragazze non avevano diritto a studiare e a viaggiare – i due ragazzi fuggono via, verso l’Inghilterra, verso un epilogo che già lo sappiamo non sarà gioioso – ci può essere un «vissero felici e contenti» con l’incesto?

 

 
Valérie Donzelli (suo il magnifico La guerra è dichiarata) ritrova una sceneggiatura scritta negli anni Settanta (e mai girata) per François Truffaut da Jean Gruault (che appare in un cameo, l’ultimo prima della morte, nei panni di un severissimo giudice), L’Histoire de Julien et Marguerite, per trasportarla nella dimensione della favola. E del racconto della buona notte Marguerite e Julien (nelle nostre sale un anno dopo la presentazione allo scorso festival di Cannes con un doppiaggio che ne stempera i guizzi) prende il movimento narrativo e visuale, mescolando teatro delle ombre e suggestioni infantili, paure e fantasmi, cattivi e buoni.

 

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C’è una ragazza, una giovane istitutrice (Esther Garrel) che narra le drammatiche vicende di Marguerite e Julien i alle bimbe di un orfanotrofio. L’amore maledetto dei due fratelli, divenuto leggendario, si ispira a un fatto «vero» accaduto nel Seicento in Francia che sarà poi anche all’origine di una novella di Jules Barbey d’Aurevilly.

 

Dai loro lettini le piccole, visto appunto che di una storia vera si tratta, aggiungono e tolgono dei particolari, riportano una diversa versione come l’hanno sentita o come gli è stata già raccontata, ci sono i detti e le voci popolari che intorno a questo amore pazzo si sono accumulate nei secoli. L’amor fou per il quale i due protagonisti – che cresciuti sono Anais Demoustier vista nel film di Ozon Una nuova amica, e Jéremie Elkaim già in  La guerra è dichiarata e anche sceneggiatore insieme a Donzelli – lottano tutta la loro breve esistenza, sfidando le regole dell’epoca, gli obblighi familiari, la repressione e la censura dei sentimenti, che li sorveglia e li separa da cuccioli per prevenire il Male. Ma quando si ritrovano il desiderio è più forte: ogni sguardo è un colpo al cuore, il matrimonio che la ragazza sembra accettare un incantesimo di gelosia … I due inventano giochi, parole di seduzione, un alfabeto segreto del desiderio, non possono fermarsi, i loro corpi sembrano trovare un posto sulla terra solo uniti. ..

 

 
Donzelli unisce le epoche, passato e presente, rock e spinetta seicentesca in una dimensione atemporale e pop un po’ alla Jacques Demy in Pelle d’asino o forse più guardando alla Marie Antoinette di Sofia Coppola. Ma il confronto più importante è con il cinema di Truffaut, le sue dinamiche, la trama delle sue citazioni letterarie, la sua eleganza, la sua grazia sentimentale: quanto rimanere vicini al suo modello e quanto prenderne le distanze se non addirittura dichiarare una rottura?

 
L’ossessione amorosa (Adele H). Eppure nella pittura di una Bretagna tempestosa e dei boschi fiabeschi di fuga e libertà, quello che manca è proprio la follia di un’ossessione che vince ogni paura. Il registro fiabesco di Donzelli raffredda l’emozione, e sembra più preoccuparsi degli artifici, citazioni comprese, che di trovare una forma al desiderio. Questi suoi personaggi ci appaiono come graziose figurine senza sostanza, gli attori fin troppo controllati e il loro amore piatto, a volte quasi «illustrativo», svuotato di carnalità. Eppure la materia era fantastica, quello che non funziona nonostante molta ispirazione è l’alchimia: magari un po’ più di libertà?