Nel vecchio continente è appena scoppiata la seconda guerra mondiale, mentre nel nuovo mondo, al Sud degli Stati uniti, la fine della schiavitù quasi cent’anni prima non ha eliminato la profonda subalternità dei neri. Ed è proprio in uno dei peggiori Stati ex schiavisti – il Mississippi – che si trasferisce la famiglia McAllen: Laura (Carey Mulligan), il marito Henry, le loro due figlie e l’orrendo nonno Pappy, che odia ardentemente neri e donne allo stesso modo.

Abituata alla vita di città, Laura si trova catapultata in una fattoria e immersa quotidianamente nel fango che dà il titolo al film di Dee Rees presentato al Sundance, visto di recente anche dalla Festa del cinema di Roma e da ieri disponibile su Netflix: Mudbound, tratto dal romanzo omonimo del 2008 (uscito in Italia con il titolo Fiori nel fango) di Hillary Jordan.
Nella proprietà  dei McAllen vive e lavora anche una famiglia africanamerican di mezzadri: il padre Hap con sua moglie Florence (Mary J Blige) e i figli – il più grande, Ronsell, come il fratello di Henry, parte per combattere in Europa.

Al loro ritorno, i due reduci vengono però trattati in modo molto diverso: a Ronsell non è riconosciuto l’onore di aver partecipato alla sconfitta dei nazisti – tornato in Mississippi deve di nuovo abituarsi a usare le porte di servizio, a non rispondere ai bianchi, a essere considerato inferiore. Racconto corale scandito da estenuanti monologhi fuoricampo dei protagonisti – ma solo i «buoni» hanno una voce interiore – Mudbound svolge un compitino perfetto a livello del concetto di «rappresentazione» – delle minoranze, delle donne – con cui oggi, sempre di più, si giudicano i film come se fossero una formula matematica.

Nella sostanza però questo melodramma di oltre due ore non fa che replicare vecchi stereotipi: i bianchi sono buoni o abominevoli, i neri sono «condannati» a essere tutti buone e semplici persone dai saldi principi.
Ironicamente, in questo ampolloso melo che ambisce a dare uno spaccato del Sud Usa degli anni 40, Ronsell troverà l’assenza di pregiudizi che gli è negata nella terra in cui è nato proprio nel Paese che aveva appena sterminato milioni di persone su base razziale.