9 novembre 2014. Potrebbe essere questa la storica data in cui i catalani per la prima volta saranno chiamati ad esercitare il loro «diritto a decidere», come viene definita dalla politica catalana la possibilità di esprimersi sullo status politico della Catalogna. Proprio due mesi dopo che la stessa sorte toccherà agli scozzesi.

Il presidente del governo catalano, Artur Mas, ha dato lo storico annuncio ieri pomeriggio circondato dai leader dei partiti favorevoli alla consulta. Secondo il President, le domande saranno due: «Desidera che la Catalogna sia uno stato?» e, in caso affermativo, «Desidera che sia uno stato indipendente?».

Arrivare a questo passo non è stato semplice. Mas, che ha conquistato la maggioranza relativa nelle elezioni catalane dell’anno scorso con la promessa di uno «stato proprio», aveva promesso a Esquerra Republicana (Erc), che dà un appoggio esterno fondamentale per la sopravvivenza dell’esecutivo di Barcellona, che entro la fine dell’anno si sarebbe decisa data e domanda del referendum. Erc spingeva per una domanda secca, indipendenza sì o no. Ma era dalle stesse file dei moderati di Convèrgencia i Unió (Ciu), il partito capeggiato da Mas, che arrivavano pressioni per cercare di ampliare il fronte pro-referendum includendo anche i federalisti di Icv (Iniciativa Verts Catalunya, la marca catalana di Izquierda Unida), oltre agli indipendentisti convinti della Cup (il movimento di estrema sinistra entrato per la prima volta in parlamento) e ai delusi fra le file socialiste (costretti dai socialisti di Madrid a posizioni “istituzionali”).

Le ipotesi di compromesso erano una domanda con tre risposte, a cui erano nettamente contrari Erc e la Cup perché si sarebbe rischiato un risultato poco chiaro, o la scelta di due domande, a cui alla fine si sono piegati CiU, Erc, Cup e Icv. Insieme, questi 4 partiti rappresentano 87 dei 135 deputati del Parlament di Barcellona e il 57,8% dei voti espressi alle ultime elezioni.

La reazione del governo di Mariano Rajoy non si è fatta attendere. Il ministro della giustizia, Alberto Ruíz-Gallardón, ha dichiarato che la costituzione spagnola «non autorizza le comunità autonome a sottomettere a referendum questioni che hanno a che vedere con la sovranità nazionale». Il portavoce popolare alle Cortes ha garantito che «è impossibile che la consulta venga effettuata», agitando lo spauracchio della possibile sospensione del governo autonomo (art. 155 della Costituzione. Rajoy ha tenuto una conferenza stampa alla Moncloa, sede del governo di Madrid (conclusa dopo la chiusura del giornale) in cui ha usato parole molto simili. Il segretario del Psoe, Alfredo Pérez Rubalcaba ha sottolineato che trattasi di «un referendum di autodeterminazione con il quale i socialisti non sono d’accordo». Anche il partito fortemente centralista guidato da Rosa Díez, Upyd (senza rappresentanti in Catalogna), ha parlato di accordo «ridicolo e spaventoso» mentre il segretario di Izquierda Unida, Cayo Lara, ha appoggiato il diritto di decidere dei catalani, ma ha detto di nutrire «ragionevoli dubbi» sul fatto che la domanda sia davvero «inclusiva». Il giovane deputato di Iu Alberto Garzón, ex 15-M, riassume il suo pensiero in un tweet: «Sono favorevole a che la gente voti e si esprima senza restrizioni. Si chiama principio democratico».

Mentre il leader di Esquerra, Oriol Junqueras, ha ammesso che se vincesse il No alla seconda domanda «l’indipendentismo perde», ha però difeso l’essere arrivati a questo storico risultato anche se «questa non è la domanda che volevamo noi». Assieme agli altri partiti catalani in paramento a Madrid, Erc ha già presentato una proposta di legge che, in applicazione del’articolo 150 della costituzione, chiede al governo di delegare alla Catalogna le competenze per poter celebrare il referendum.

In questa storia, in cui la coscienza nazionale sembra aver sostituito, con soddisfazione di molti, la coscienza di classe, rimangono fuori dal dibattito temi cruciali. Che succederà dopo un’eventuale vittoria dei due sì? A Madrid si approvano modifiche draconiane al codice penale, agli immigrati viene tolta l’assistenza sanitaria e Miguel Blesa, ex raís del colosso Bankia, salvata dal collasso con decine di milioni di euro pubblici, siederà sul banco degli accusati. Ma è molto più facile parlare di referendum e di nazionalismi.