Nell’arco di 90 minuti ieri i Talebani hanno messo a segno un duplice attentato. A Charikar, capoluogo della provincia di Parwan, hanno colpito un comizio elettorale del presidente Ghani e poco dopo a Kabul la cosiddetta rotonda Massud, nel centro della città, a ridosso di numerosi edifici governativi. Almeno 22 morti a Kabul, altri 24 a Parwan. Decine e decine i feriti.

La strategia è unica, ma l’attentato è duplice e due sono i destinatari del messaggio. A Charikar, l’attentatore suicida ha colpito uno dei checkpoint di controllo all’ingresso di un centro di addestramento della polizia. All’interno c’erano 5mila persone ad ascoltare il comizio elettorale del presidente Ashraf Ghani, in una delle rare uscite pubbliche, tanto più fuori Kabul, in vista delle presidenziali del 28 settembre.

Fino a pochi giorni fa Ghani – alla ricerca di un secondo mandato – ha evitato gli spostamenti, tenendo video-conferenze con gli elettori. Ieri ha deciso di presentare la sua agenda a Charikar, accompagnato da Amrullah Saleh, già capo dell’intelligence e ora suo vice nel ticket elettorale.

L’attentatore non è riuscito a impedirne il comizio, ma il messaggio era per lui: per i Talebani il governo di Kabul continua a essere illegittimo e lo sarà tanto più in futuro se a presiederlo dovesse continuare a essere Ghani, tra l’altro ai ferri corti con Islamabad, tradizionale sponsor degli studenti coranici.

Per i Talebani, illegittime e «farsesche» sono anche le elezioni, in un Paese sotto occupazione. Così hanno dichiarato settimane fa, minacciando il boicottaggio violento e intimando agli afghani di non partecipare.

Fino al 7 settembre nessuno avrebbe scommesso che le presidenziali si sarebbero tenute davvero. Si dava per imminente la firma dell’accordo tra Stati uniti e Talebani, che le avrebbe probabilmente fatte annullare. La certezza che si tenessero è arrivata solo dopo che Trump ha fatto saltare il negoziato.

Il secondo messaggio è per lui. La rotonda Massud è a poche centinaia di metri dall’enorme ambasciata Usa, da mesi in espansione. E la provincia di Parwan è una delle due, con Kabul, dove avrebbe dovuto iniziare il cessate il fuoco con gli americani, secondo le indiscrezioni sul testo dell’accordo.

Così, mentre tessono i rapporti con le potenze regionali e senza chiudere del tutto la strada a un’eventuale ripresa dei colloqui di pace, i Talebani con il duplice attentato dicono a Trump che se Washington rinuncia al tavolo negoziale loro sono pronti a combattere «per altri cento anni», come dichiarato da uno dei membri della delegazione di Doha, in Qatar.

Sono anche disposti a pagarne le conseguenze, condivise con soldati governativi ma soprattutto con i civili come racconta un’inchiesta della Bbc: agosto è stato il peggior mese in assoluto con una media di 74 morti al giorno.

L’indagine rivela una serie di cose: tra i 2.307 morti accertati dall’emittente britannica in quel solo mese (quasi 2mila i feriti) ci sono soprattutto militari e miliziani mentre un quinto sono civili con una buona percentuale di donne e bambini.

Ma tra i «soldati» morti, i più numerosi sono proprio i Talebani: la guerriglia – scrive Bbc – non è mai stata tanto potente dal 2001 «ma i suoi combattenti rappresentano quasi la metà di tutti i decessi di agosto, un numero enorme, il che è una sorpresa».

Potrebbero esserci diversi fattori per questo, incluso il fatto che i talebani «sono passati all’offensiva durante i colloqui di pace e che le forze guidate dagli Stati uniti hanno aumentato gli attacchi aerei e le incursioni notturne in risposta, uccidendo molti talebani e civili». Talebani e governo hanno contestato le cifre.

L’indagine della Bbc non fa che confermare un trend di violenza che già in luglio aveva registrato un bilancio elevatissimo e ne aveva fatto il mese peggiore dell’anno in corso. Ma se agosto è stato ancora più negativo, con le elezioni in vista ci si può solo aspettare il peggio. Se Talebani, governativi e alleati hanno combattuto duro mentre si negoziava, ora che il negoziato è nelle secche, la situazione sul piano militare può solo peggiorare.

Nel contempo però chissà se non sia stato anche il naufragio del negoziato a spingere i giudici della Corte penale internazionale dell’Aja a rivedere il loro giudizio sul rigetto della richiesta del pubblico ministero di aprire un’indagine su gravi reati connessi al conflitto afgano.

Hanno reso noto ieri che accetteranno il suo ricorso. L’indagine proposta era stata respinta perché era stato giudicato improbabile ottenere risultati importanti con un Paese, gli Usa, che non riconoscono l’autorità del Cpi. Riconosciuto invece da Kabul.