Dopo la tragedia del piccolo Aylan Kurdi il mondo ha «pianto» e si è mobilitato, ma poi ha voltato di nuovo le spalle ai rifugiati. A denunciarlo è la zia di Aylan, il bambino siriano di tre anni annegato due anni fa, il 2 settembre 2015, insieme al fratellino Galip di 5 anni e alla madre Rehan nelle acque dell’Egeo e il cui corpo è stato trovato e fotografato sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia.

«Allora provarono ad aiutare i rifugiati. I confini furono aperti, ma un paio di mesi dopo tutti erano tornati ai loro affari», ha dichiarato Tima Kurdi, nell’intervista al quotidiano turco Hurriyet. «Quando Aylan è stato trovato sulla spiaggia, ho visto il mondo piangere. Non posso spiegare quanto questo mi abbia colpito. Non ci sono parole per descriverlo. Allora, tutti sentivano una piccola responsabilità e ragionavano come se fosse stato un loro figlio», ha detto la donna che attualmente vive in Canada.

«Dalla morte del piccolo profugo siriano Aylan Kurdi, due anni fa, altre 8.500 persone sono morte o scomparse nel Mediterraneo. Molti altri hanno perso la vita nel deserto». È la denuncia dell’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati. Più di 500 bambini sono morti sulle coste europee negli ultimi due anni, specifica Save the Children riportando i dati dell’Oim (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni). «Manca la volontà politica di trovare soluzioni», lanciano l’allarme alcune ong. Il compromesso europeo per accogliere più di 180mila rifugiati prima del 26 settembre di quest’anno, è «anni luce dal compiersi», lamentano gli operatori umanitari. L’Europa ne ha accolti un misero 24%. L’Italia 8mila.