Mentre continuano con successo le retrospettive dedicate al Genina cosmopolita, a Jean Vigo, e al fantasmagorico cinema anticolonialista di Med Hondo, Cinema ritrovato propone anche due registi che la critica classica ha trascurato, ma che meritano invece un’attenta riconsiderazione, Helmut Kautner e William Howard. Il regista tedesco è noto per la sua produzione di buon livello del periodo postbellico, ma rivedere i suoi film degli anni ’40 ha offerto una delle migliori sorprese del festival, come nel caso di Unter Den Brucken, ovvero Sotto i ponti (1946).Là dove passano le chiatte di due amici per la pelle, che rivolgono in alto lo sguardo per godersi lo spettacolo delle gambe delle fanciulle che li salutano, ma con le quali non si possono intrattenere perché legati in un’inesorabile colonna ad un rimorchiatore.

 

 

 

 

A metà tra un’Atalante solo un po’ meno anarchico e il classico A Girl in Every Port, i due battellieri scorrono tra paesaggi agresti e urbani, mondi paralleli e irraggiungibili: senza fissa dimora sognano una libertà ancora maggiore,un motore diesel per rendere indipendente la loro chiatta. Segretamente però desiderano anche una ragazza che allieti la loro vita solitaria e la trovano in una fanciulla che sul ponte sembra meditare il suicidio, ma in realtaà si limita a gettare nel fiume una banconota.  I due si contendono la sua attenzione, poi il cameratismo maschile trova una soluzione inedita ai tentennamenti della ragazza.

 

 

 

 

Gli altri film di Kautner come Grosse Freiheit Nr.7, girato a Praga durante la guerra, è anch’esso un film che anela alla libertà almeno di costumi, a un libertinaggio che offende la censura nazista che ne intuisce la volontà critica. La traversata del terrore (1950) è invece un film ambientato sullo yacht di un capetto nazista e abitato, nel dopoguerra, da una masnada di imprenditori e loschi individui, in una sorta di giallo politico-complottistico dalle atmosfere paranoiche, raccontato con diverse soluzioni: da un giornalista invisibile seguito da una soggettiva angosciante (come Una donna nel lago di Montgomery), il cui racconto viene ripreso dall’editore del giornale.

 

 

 

 

Una procedura a scatole cinesi è anche quella seguita da Howard nello stupefacente The Trial of Vivienne Ware (1932). Al centro del film il processo per omicidio a un’affascinante fanciulla della buona società accusata di aver ucciso il suo amante – è interpretata da Joan Bennett. Il racconto si svolge su due piani spaziali distinti: nell’aula del tribunale, dove i colpi di scena si succedono con un ritmo frenetico, sottolineato dalle sventagliate visive del montaggio; in primo piano al microfono di una radio al quale si alternano un giornalista sensazionalistico e una giornalista «di colore» (interpretata da una fantastica ZaSu Pitts) la cui prima preoccupazione è raccontare come sono vestite la bella Vivienne e la sua antagonista, una volgare ballerina. Il tutto conl passo della screwball comedy, dialoghi a raffica, toni umoristici fino al sarcasmo autocritico (tra cinema e giornali c’è un intenso rapporto di amore e odio nel cinema americano di questi anni.)

 

 

 

 

La vicenda si dipana con la linearità di un giallo convenzionale in una modalità di racconto che sfida le capacità di concentrazione di ogni millennial. Sperimentale nel racconto anche il più noto film di Howard, The Power and the Glory (1933) in cui Spencer Tracy è un magnate delle ferrovie che alla sua morte viene descritto da taluni come un mostro e da altri invece come una vittima, attraverso una rete di flashback che hanno fatto sì che il film sia stato considerato, abbastanza unanimemente, un antecedente di Quarto potere. Scritto da Preston Sturges non evoca affatto le scatenate commedie del nostro, ma un’introspezione amara e un’attenzione empatica per gli sconfitti. Howard muore alcolista e dimenticato nel 1954.