Un corpo destabilizzante, che provoca slittamenti di senso e induce a guardare oltre. È quello che «indossa» Marcel Duchamp, lavorando in presenza e in assenza di identità differenti, intercettando maschile e femminile nei readymade di se stesso, rinforzando ogni codice con una esplosiva carica di ambiguità.

Troppo frettolosamente classificato unicamente come «artista di avanguardia» (si dimentica così, e a torto, la natura più complessa del suo porsi nel mondo), Duchamp era un esperto e infaticabile sabotatore dei confini: ora, la storia e teorica dell’arte Giovanna Zapperi con il suo denso saggio L’artista è una donna (edito da ombre corte, pp.139, euro 14) colma un vuoto critico, ricucendo insieme i frammenti di quel Marcel che, alchemicamente si trasmutò in Rrose Sélavy, giocando con i segni della modernità a lui coeva. Perché, iniziando la sua carriera di mutante prima come dandy – la performance teatrale che espone il corpo come fosse un’avventura fuori percorso – poi flâneur, infine con la sovrapposizione della propria immagine a quella di merce e l’uscita dalla soggettività, Duchamp si era avviato a diventare altro da se stesso, ambivalente donna à la garçonne, come dettavano i tempi correnti.

Rrose Sélavy, l’alter ego scelto dall’artista, non è una donna qualunque, ha delle caratteristiche ben precise con le quali viene al mondo negli anni Venti. Ha un cognome metà di origine ebraica, metà americana, rimanda a un universo desiderante («eros c’est la vie» si potrebbe leggere) e rappresenta una dismissione dal maschile con un doppio salto acrobatico: quello che compie, simbolicamente, la femme fatale e quello che suggerisce invece l’androginia. Assume su di sé caleidoscopici semi della differenza (l’ebraismo come diversità palesata: erano in molti, in quegli anni, ad emigrare negli States per fuggire dalle persecuzioni già in atto), mette in scacco la griglia interpretativa che sistema i due sessi dentro coordinate certe e si pone dalla parte dell’ambivalenza di genere. Così, la celebre Tonsura, che mostra la testa di Duchamp rasata a forma di stella a cinque punte, sarebbe una castrazione simbolica della virilità (la tonsura dei preti), un atto che apre le ostilità con il corpo consegnatogli dalla natura: è una iniziazione a quella metamorfosi verso il femminile che produrrà non poche sorprese, semantiche e fisiche.

Duchamp en travesti comparirà per la prima volta nel 1921 in una foto scattata da Man Ray: vestita alla moda, Rrose Sélavy è una donna moderna, quasi una pubblicità vivente (molto hipster diremmo oggi) dell’immaginario consumistico del momento. Rappresenta però anche gli scarti identitari che andavano producendo e sostanziando le istanze femministe. Presto, Rrose si trasformerà in icona per profumi, ma pure in presidentessa del cda di quelle Obbligazioni per la roulette di Monte Carlo (1924), che simulano il capitalismo e vedono rappresentato nel collage un Marcel Duchamp satiro, più animale che uomo, tornato al grado zero e quindi pronto alla definitiva sparizione. La strategia è chiarissima: non è un caso che l’artista abbia in quegli anni (1923) prodotto Wanted $ 2000 Reward: l’avviso che lo trasforma in ricercato non è altro che una caricaturale segnalazione del «cambio di pelle», del suo aver abbandonato una identità rigida per essersi avventurato in un gioco d’azzardo – dalle conseguenze inedite – dei generi.