Da Roma Matteo Salvini esulta ma quanto accaduto ieri a Lussemburgo rischia di rappresentare il colpo di spugna definitivo sulle speranza italiane di modificare il regolamento di Dublino. Chiamati a decidere sulla bozza di riforma delle norme che regolano la gestione dei richiedenti asilo, i ministri degli Interni dei 28 si sono infatti divisi facendo non solo naufragare il pessimo testo messo a punto dalla presidenza di turno bulgara della Ue, ma rendendo di fatto impossibile ogni tentativo di migliorarlo. Per dirla con le parole del viceministro per le Politiche di asilo e le Migrazioni del Belgio Theo Francken – protagonista ieri di più di una dichiarazione sopra le righe – «la riforma di Dublino è morta». E per il futuro il rappresentante del governo belga invita il ministro degli Interni italiano a riprendere i respingimenti in mare dei migranti (per i quali l’Italia è già stata condannata dalla Corte i Strasburgo) e a farlo senza andare tanto per il sottile: «Dobbiamo trovare il modo – ha spiegato – di superare l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Quello, per capirci, che vieta l’uso della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti.

Da mesi si sa che mettere mano a Dublino non sarebbe stata un’impresa semplice, nonostante il parlamento europeo abbia già approvato una sua proposta di riforma, purtroppo completamente ignorata, che sarebbe stata un’ottima base di partenza anche per il vertice Gai riunitosi ieri in vista del Consiglio europeo di fine mese. E si sapeva anche che il fronte dei contrari al testo presentato da Sofia poteva contare su almeno 10 paesi, seppure con motivazioni diametralmente opposte: Ungheria, Cechia, Slovacchia, Polonia e Austria decisi a respingere ogni forma di ricollocamento dei richiedenti asilo, mentre Italia, Grecia, Malta, Cipro e Spagna erano alla ricerca di maggiore solidarietà da parte degli altri Stati membri. Ieri, però, il fronte del Mediterraneo si è spaccato: come annunciato alla vigilia da Salvini, l’Italia ha votato no alla bozza bulgara allineandosi così al blocco guidato dall’Ungheria di Viktor Orbán (chissà se è di questo che i due leader hanno parlato lunedì al telefono), mentre Malta, Cipro e Grecia hanno scelto di tentare ancora la via della trattativa nella speranza di migliorare il testo. Al loro posto è arrivato il voto contrario di Estonia, Lettonia e Lituania. Vista l’impossibilità di ogni mediazione, alla fine al fronte del no si è aggiunta anche la Germania. Totale: 11 Paesi contrari, più che sufficienti per bloccare tutto.

Una vittoria delle destre europee, alla quale l’Italia si accoda in maniera masochistica visto che così le attuali regole di Dublino, tanto criticate dai sovranisti di casa nostra, restano in vigore. «Sono molto soddisfatto. Noi avevamo una posizione contraria ed altri Paesi ci sono venuti dietro, abbiamo spaccato il fronte. Significa che non è vero che non si può incidere sulle politiche europee» esulta Salvini, facendo finta di non sapere che gli schieramenti erano in gran parte costituiti da tempo.

Gli scenari che si aprono adesso rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione già drammatica dei disperati che cercando di arrivare i Europa. Francia, Germania e Svezia sarebbero al lavoro per elaborare un proposta di riforma da presentare al vertice dei capi di Stato e di governo del 28 e 29 giugno, ma vista l’aria di che tira, e soprattutto il sapore di vittoria che il blocco anti-migranti già pregusta, sembra davvero difficile che possa andare in porto. Più facile che alla fine si scelga di puntare ancora una volta sulla sicurezza dei confini esterni dell’Unione, il che potrebbe significare se non proprio l’attuazione dei respingimenti, almeno la chiusura dei porti alle navi cariche di migranti. «E’ necessario chiudere le porte, altrimenti c’è il rischio della fine della Ue e della zona Schengen», ha detto il solito Francken. Un progetto reso possibile anche dal fatto che dal primo luglio la presidenza di turno passerà all’Austria governata da una coalizione tra i popolari di Sebastian Kurz e l’estrema destra di Heinz-Christian Strache, coalizione che con il governo giallo-verde italiano condivide la volontà di fermare i migranti. Non a caso ieri il ministro degli Interni austriaco Herbert Kicki ha definito Roma come «un alleato forte», aggiungendo di voler sentire al più presto Matteo Salvini. E annunciando per luglio «un cambio di paradigma» nella politiche europee sull’immigrazione. «Sarà forse qualcosa di simile a una piccola rivoluzione copernicana del sistema d’asilo», ha spiegato.