Molti esperti internazionali avanzano dubbi circa l’accusa dell’opposizione siriana – accompagnata da un’intensissima diffusione di video – secondo la quale l’esercito nazionale avrebbe bombardato con gas nervino l’area di Ghouta a est di Damasco all’alba del 21 agosto 2013, uccidendo un numero di persone molto variabile a seconda delle fonti: il Consiglio rivoluzionario militare:1.300 morti, dalla Coalizione nazionale siriana: 650, dai Comitati di coordinamento locale: 750; l’Osservatorio siriano di Londra cita un numero più limitato di vittime, ma si sofferma sulla presenza di molti bambini. In ogni caso sarebbe stata valicata, pochi giorni dopo l’arrivo degli esperti Onu sulle armi chimiche, la «linea rossa» tracciata esattamente un anno fa, il 20 agosto 2012, da Barack Obama; la linea oltre la quale le potenze anti-Assad si ritengono autorizzate ad agire militarmente in modo più diretto di quanto non abbiano fatto finora.
Gli allarmi sull’uso delle armi chimiche in Siria si susseguono da oltre un anno, in genere in coincidenza di scadenze importanti. In molti casi hanno avuto un impatto favorevole all’opposizione armata.
L’esperto nel campo delle armi non convenzionali Gwyn Winfiled, in un’intervista a Repubblica il 22 agosto esclude il gas sarin («perché i soccorritori non hanno protezioni, quindi la tossicità del prodotto è più bassa») e sostiene che «L’attacco con agenti tossici ieri in Siria sembra avere tutte le caratteristiche di un nuovo incidente del Tonchino: un “casus belli” creato ad arte per giustificare un’escalation militare delle potenze straniere, come quello che nel ’64 autorizzò l’intervento americano in Vietnam». Secondo Winfield, «è difficile credere che il regime di Assad lanci un’offensiva del genere in simultanea con l’arrivo a Damasco degli ispettori Onu incaricati delle indagini sulle armi chimiche». Egli propende non per il sarin ma per l’uso di agenti antisommossa molto potenti contenuti in munizioni. E la strage «non giova certo al regime, che in ogni caso verrà incolpato, perché quella sostanza è prodotta dalle forze armate del regime. È probabile che sia stata catturata dai ribelli dell’Esercito libero siriano, gli unici altri in grado di lanciare quegli agenti con l’artiglieria. E a loro sì, che giova: otterranno le armi e l’intervento promessi da Washington».
Jean Pascal Zanders, esperto in armi chimiche e biologiche per l’istituto dell’Unione europea per la sicurezza, rileva che i soccorritori e le altre persone che circolano nel video non portano tute speciali: se si trattasse di sarin – specifica – sarebbero già tutti morti (www.contropiano.org).
Il diplomatico svedese ed ex ispettore Onu Rolf Ekeus, ha dichiarato alla Reuters: «Sarebbe molto strano se fosse stato il governo a fare questo nel momento esatto in cui gli ispettori internazionali entrano nel paese… per lo meno, non sarebbe molto intelligente».
Un altro svedese, Ake Sellstrom, esperto di armi chimiche, che guida il gruppo di Ispettori Onu ha espresso le sue perplessità sulla dinamica dell’attacco evidenziando, tra l’altro come «sospetto» l’alto numero di morti e feriti riportato dai media mainstream.
Il Vaticano con monsignor Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, dichiara: «Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente».

Il sito d’informazione SyriaTruth (un sito di oppositori ad Assad non armati, coordinato da un esule) riconduce l’episodio a un progetto organizzato dalle «brigate turkmene» di Latakia e Damasco, in particolare «la bandiera dell’Islam» e «le brigate dei discendenti del Profeta» secondo il quale era stato già pianificato un massacro, che si sarebbe dovuto attuare, nei pressi di Damasco, all’inizio della terza settimana di agosto, in concomitanza con l’arrivo della squadra della commissione d’inchiesta internazionale. Il sito fa anche rilevare che nella zona erano in corso scontri tra i gruppi armati e l’esercito che stava avendo la meglio e aveva già fatto centinaia di morti tra gli armati, con armi convenzionali. SyriaTruth fa anche notare che i villaggi di Zamalka e Ein Tarma dove si sarebbe verificata la strage sono poco distanti dalle zone residenziali principali della capitale, abitate per lo più da siriani filogovernativi, e dall’aeroporto militare di Mezzeh.