La preoccupazione è tornata di nuovo ad Atene. «Mpros gremos ke piso rema», ovvero «davanti il precipizio e dietro il torrente», dalla padella alla brace, dicono i greci che devono scegliere tra un memorandum pesante come i due precedenti, con l’economia sull’orlo del crollo, e un grexit che sembra ancora più disastroso.

Tensione dietro le quinte anche nel governo. A sentire ministri e alti dirigenti di Syriza, Tsipras sta lavorando a una serie di proposte sostenibili con l’aiuto di «tecnocrati» francesi (che in nessun modo vogliono l’uscita del paese dall’eurozona): «l’eventualità di un grexit è soltanto propaganda», ma c’è il timore che «qualcuno nell’Ue all’ultimo minuto possa sabotare l’intesa».

Il governo lavora al piano da inviare a Bruxelles ma non è affatto detto che il presunto accordo sarà votato da tutto il gruppo parlamentare di Syriza, perciò c’è chi dietro le quinte ipotizza già un nuovo ricorso alle urne nel settembre prossimo. Il ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis, leader della corrente di sinistra di Syriza, alza i toni: non voteremo un «terzo memorandum che porterà altra austerità, sofferenze e privazioni al popolo greco». «Sappiamo che a questo punto tutte le opzioni sono complesse ma la peggiore, la più umiliante e insopportabile, sarebbe un accordo che indicherebbe la resa, la razzia e la sottomissione del paese e della sua gente. Questa è una scelta che non faremo mai». Secondo Lafazanis, sibillino, la Grecia «non ha nessuna pistola alla tempia, esistono opzioni alternative» a un nuovo accordo con la troika.

Secondo alcune voci, il parlamento greco potrebbe votare il piano già oggi, prima dell’eurogruppo di sabato. I parlamentari avrebbero già ricevuto una richiesta di «reperibilità».

Mentre Juncker ha di nuovo ricevuto a Bruxelles i leader di Nea Demokratia (ieri) e To Potami (oggi).

Appena quattro giorni dopo la vittoria del «no» e le feste per la democrazia, le piazze di Atene tornano a riempirsi. Ieri sera il fronte del sì, oggi quello del no, a piazza Syntagma.

Ma il clima è cambiato radicalmente. Le dichiarazioni di Juncker e Merkel sull’accordo da siglare entro sabato hanno fatto scattare l’allarme. Nelle grandi città il contante manca ancora. Le banche rimarranno chiuse almeno fino lunedì prossimo e alcune sarebbero a un passo dal fallimento (sono chiuse dal 27 giugno). Sui media internazionali si ipotizzano già fusioni che porterebbero gli istituti ellenici da 4 a 2. Non sono pochi quelli che nonostante le smentite parlano di una valuta parallela per far fronte alla mancanza di liquidità.

Oltre alle scadenze sul debito (1,6 miliardi di euro al Fmi e altri 7 miliardi alla Bce di bond in scadenza il 20 luglio), il governo greco deve pagare 1,1 miliardi per i dipendenti pubblici (550 milioni devono essere versati la settimana prossima) e altri 1,1 miliardi per i pensionati alla fine del luglio. Tsipras ha sempre detto che in caso di emergenza avrebbe dato priorità alle spese interne, ma bisogna vedere fino che punto le casse dello stato avranno ancora fondi sufficienti.

Non mancano però le note positive. La disoccupazione ad aprile è scesa di poco, dal 25,8% di marzo al 25,6% di aprile (ad aprile 2014 era del 27%). Secondo Elstat ad aprile in Grecia c’erano 3,5 milioni di occupati, 1,2 milioni di disoccupati e 3,3 milioni di «inattivi». Gli occupati sarebbero aumentati di 16.834 unità (0,5%) rispetto a marzo 2015 e di 49.283 (1,4%) rispetto ad aprile 2104.

Altra nota positiva è il fatto che il ministero dell’economia avrebbe incassato quasi 750 milioni di euro per tasse arretrate. Anche il turismo, a giudicare dalle prenotazioni on line di Prontohotel, non starebbe risentendo della crisi, con un aumento dei turisti europei nelle isole. Mentre Western Union ha ripreso a garantire i bonifici dall’estero diretti in Grecia.

I canali televisivi privati intanto fanno di tutto per alimentare un clima di paura. Le immagini con le lunghe file di fronte ai bancomat accompagnate da dichiarazioni selezionate di vecchietti che disapprovano il governo sono continue. Certo, ci sono pensionati che escono a mani vuote dalle banche ma la strumentalizzazione della comprensibile stanchezza di persone anziane e di un fatto che si manifesta soltanto in alcune filiali della capitale tra le migliaia che ci sono in tutto il paese (dove di fronte ai bancomat ci sono di solito poche persone) è evidente.

Il problema più grande sta altrove, ovvero nel commercio. A causa del controllo dei capitali e della chiusura delle banche imposta di fatto dalla Bce, il mercato è quasi paralizzato, generando una sorta di «fronte interno» permanente contro il governo Syriza.

Chi soffre più di tutti sono le aziende di importazione, le piccole e medie imprese, i bottegai, l’edilizia, i trasporti, gli ospedali. Licenziamenti e sospensioni temporanee del rapporto di lavoro sono adesso all’ordine del giorno. Inoltre cominciano a mancare le materie prime d’importazione. Secondo Zacharias Athoussakis, presidente della Sate, l’agenzia che rappresenta le medie e grandi imprese di ingegneria civile, «si stima che circa 40.000 persone siano andate a casa negli ultimi giorni da quando molti cantieri hanno chiuso i battenti».

Altrettanto gravi sono i problemi nel settore dei trasporti A sentire il presidente dei camion di trasporto, Petros Skoulikidis, che si è incontrato con il ministro dell’economia, Yorgos Stathakis, «molti autisti di tir (si calcola almeno 100, ndr) sono rimasti bloccati all’estero in quanto il prelievo dalle loro carte di credito è limitato a 60 euro e non hanno contanti per pagare il viaggio».

Forti disagi da ieri anche per i biglietti aerei e marittimi, molte agenzie e imprese di viaggio hanno iniziato a vendere solo di fronte a contanti.