La conoscenza, l’accesso al sapere sono elementi fondamentali, di contrappeso all’esercizio del potere, che caratterizzano una democrazia. Dunque uno degli elementi che connota, in un senso o nell’altro, la politica di un governo è il ruolo che riserva alla politica culturale nella sua scala delle priorità di intervento e di programmazione.

Da molti anni in Italia assistiamo sia ad un deciso depauperamento delle risorse destinate al sistema educativo sia alla costante sottovalutazione della centralità della cultura come elemento di rifondazione di una società, sempre meno propensa all’esercizio di spirito critico, ma anche come carta fondamentale per uscire dalla lunga crisi economica e sociale che attraversa il paese.

La situazione pandemica, se possibile, ha ampliato diseguaglianze e fratture sociali e ha ingenerato una ulteriore drammatica difficoltà per tutto il settore culturale. Si richiederà una programmazione di investimenti massivi con l’obbligo di fare appello a tutte le straordinarie risorse del nostro paese.

Per questo motivo abbiamo guardato con attenzione all’iniziativa del governo, già in fase di elaborazione del Decreto Rilancio, di creazione di una piattaforma dedicata alla cultura. La decisione di ampliare l’accesso alla straordinaria offerta culturale del paese veicolando contenuti tramite piattaforme pubbliche è uno degli strumenti possibili ma si sarebbe dovuto coinvolgere la più grande azienda culturale italiana, la Rai.

L’idea infatti che si costruisca un soggetto nuovo, partecipato da Cassa Deposito Prestiti come socio di maggioranza e da una azienda privata affatto florida dal punto di vista economico, Chili Tv, invece di utilizzare la piattaforma già pubblica di Raiplay potenziandone ed affinandone l’utilizzo, è di fatto incomprensibile. Non sappiamo se la Rai sia stata coinvolta nella fase di programmazione, e non lo sappiamo perché non vi è stato un dibattito pubblico sull’intera operazione, sulle sue finalità e sulle modalità di realizzazione. Peraltro i vertici della Rai non hanno dato contezza della loro posizione in merito.

Però sappiamo che l’archivio della Rai è enorme ed in gran parte digitalizzato, e che vi è un altro soggetto in campo, Cinecittà, con cui peraltro, a detta proprio del ministro Franceschini, sempre Cassa Depositi Prestiti dovrebbe collaborare per ampliare l’area a disposizione degli Studios e fornire un partner industriale. A novembre il ministro parlava in tal senso di una “Hollywood europea”! Allora perché la Rai non è stata individuata come il soggetto naturale di un’operazione di potenziamento e diffusione della produzione culturale? È grave di fatto che non si abbia oggi contezza del business plan dell’intera operazione e neppure del piano editoriale del nuovo soggetto.

Non solo dunque la scarsa chiarezza dell’operazione è in sé inaccettabile tanto quanto lo è il mancato coinvolgimento della Rai, ma non è affatto irrilevante capire se il governo italiano punti sulla centralità della produzione culturale, che è il vero elemento di forza, o sulla semplice distribuzione. Si produrrà cultura o si faranno mere operazioni di marketing? In entrambi i casi sia al ministro che ai vertici della Rai vanno poste domande di merito.

Nei fondi Next generation Eu è prevista una voce di stanziamento proprio per la ripresa del settore culturale e, contestualmente, sono stanziati fondi per interventi di digitalizzazione: dunque non è affatto indifferente sapere sin d’ora dove si pensa di destinare questi investimenti.

Quello che il Paese non si può di certo permettere è che la cultura non abbia la centralità necessaria a ricostruire un tessuto sociale dilaniato dalla profonda crisi economica e sociale in atto da troppi anni, contribuendo nel contempo alla ripresa economica. In questo ambito come in ogni altro la tecnologia è sicuramente un fattore abilitante ma non sarà una piattaforma a fare la differenza. Quello che interessa sono le finalità per cui viene utilizzata, la risposta ai bisogni di cittadinanza, l’accesso pubblico, in sintesi l’idea di paese che si vuole realizzare.

* Cgil Nazionale