Si chiama Hero e più che un drone classico è un mini elicottero a controllo remoto, pensato per il mercato civile, quello che da settembre sarà imbarcato sulle navi della Marina militare italiana nell’ambito delle operazioni di controllo delle frontiere marittime meridionali dell’Europa, per monitorare i flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Si tratta di un progetto sperimentale condotto da un consorzio di forze chiamato Closeye (Collaborative evaLuation Of border Surveillance technologies in maritime Environment bY pre-operational validation of innovativE solutions), finanziato dall’Unione europea, che è stato assegnato alla Marina militare italiana, a quella portoghese e alla Guardia civil spagnola. Le quali, insieme all’Agenzia europea Frontex, a Emsa, Europol e in collaborazione con l’Aeronautica militare, sperimentano così le nuove tecnologie direttamente sul campo.

«Da settembre monteremo il nostro drone su una nave della Marina che pattuglierà le coste al largo di Lampedusa sia per prevenire le stragi di immigrati in mare, sia per prevenire che i flussi migratori diventino vettori di trasporto di elementi di terrorismo», racconta Matteo Sensini, manager della Ids (Ingegneria dei sistemi) l’azienda, del gruppo Agusta Westland, produttrice di Hero, un aeromobile a pilotaggio remoto (Apr) che ha un rotore di 3,5 metri, pesa circa 150 chili, monta sensori elettro-ottici e a infrarossi che lo rendono operativo anche di notte, un radar e altri sensori «di guerra elettronica» «in grado – spiega Sensini – di rilevare la presenza di una nave nemica anche oltre l’orizzonte».

Il progetto a cui partecipa la Ids rientra nella «validazione pre-operativa» di Closeye, pensata per «testare le nuove tecnologie disponibili sul mercato direttamente negli scenari operativi», continua il manager dell’Ids. «Portare un drone su una nave è cosa abbastanza complessa – dice – per i problemi di decollo e atterraggio, per la logistica, per la compatibilità e le eventuali interferenze tra i software e i sistemi radar dell’Apr e quelli della nave». Ecco perché «se il velivolo da solo ha un prezzo dell’ordine di un milione di euro, il costo sale a oltre due milioni se si considera tutto il sistema Sapr», che comprende i vari sensori montati a bordo e la ground station, che controlla il drone da terra e ne registra le attività. «Particolare assolutamente necessario in tutte le operazioni di polizia o militari – riferisce ancora Sensini – perché non si può rischiare di perdere, eventualmente, assieme al drone anche le informazioni registrate che potrebbero arrivare in mano “nemica”».Insieme a Hero, l’Ids, che «lavora nel settore della difesa e della sicurezza da oltre trent’anni», imbarcherà sulla nave militare anche un pilota, un “operatore del sensore” e un tecnico manutentore, addestrati dalla stessa casa produttrice a gestire quel particolare modello.

Per fare esattamente cosa è presto detto: «Di solito l’intelligence, tramite rilevamenti satellitari, è in grado di registrare nuovi addensamenti di persone lungo la costa nordafricana e dunque può allertare le autorità marittime di una probabile imminente partenza di migranti – racconta Sensini – Ma poi, siccome le nostre navi si tengono più lontane dalle coste nordafricane da quanto Triton ha preso il posto di Mare nostrum, quello che è difficile scoprire è se e quanti natanti sono eventualmente partiti, e dove stanno andando». I droni come Hero, però, con i loro motori a scoppio possono allontanarsi dalla nave di un centinaio di chilometri circa, e montano radar e sensori in grado di registrare eventi distanti altrettanto, senza parlare dei moduli di «guerra elettronica» che si spingono anche molto oltre. Quindi il raggio di azione con gli Apr può arrivare a oltre 200 chilometri, senza inoltrarsi troppo in acque internazionali.