Cosa possono fare le forze dell’ordine se, come è avvenuto per la seconda notte consecutiva a Parigi, alcuni droni sconosciuti (poi identificati e per i quali ieri sera sono stati arrestati tre giornalisti di Al Jazeera) sorvolano pericolosamente la città e alcune strutture sensibili come l’ambasciata Usa, Place de la Concorde e la Torre Eiffel? «Fermarli in aria è l’ultima azione possibile», spiegano gli addetti ai lavori. «Meglio sarebbe se i corpi di polizia avessero il controllo dei codici di tutti gli Apr immessi sul mercato in modo da poter intervenire da una ground station per intercettare il drone e controllarlo». È una delle tante proposte avanzate durante la Roma Drone Conference organizzata dall’associazione Ifimedia e da Mediarkè per fare il punto sull’impiego degli aeromobili a pilotaggio remoto (Apr) nelle forze armate, nei corpi di polizia e nella protezione civile in Italia.

Dalla guerra alla pace

Nati e sviluppatisi soprattutto in ambito militare fin dalla prima metà del ’900, quando venivano usati come aerobersagli per l’addestramento delle batterie aeree, i droni conoscono oggi un vero e proprio boom in ogni campo, da quello della sicurezza civile e del controllo del territorio a quello ludico e commerciale. Possono pesare nove grammi ed essere piccoli come microspie o superare i 150 chili di peso, possono sorvolare grandi aree grazie ad ali fisse e motori a scoppio oppure muoversi agilmente con pale rotanti in spazi angusti, ed essere silenziosi più del frigorifero di casa. Possono resistere a raffiche di vento e alla pioggia, volare di notte, sfidare il fuoco, penetrare in nuvole di fumo, sorvolare aree disastrate e incidenti, entrare in tunnel ostruiti, monitorare fiumi in piena, salire sui pendii di una montagna durante una bufera di neve. Dotati di tecnologie sofisticate, possono rilevare calore umano anche a grande distanza, fare rilievi perfetti di incidenti automobilistici con mappatura del territorio, inseguire persone o cose in volo o su strada, controllare specie faunistiche o floreali, o monitorare l’erosione delle coste, o scovare discariche abusive, avvicinarsi a fonti radioattive e anche trasportare merci.

Ecco perché se l’ultima evoluzione dei droni in campo militare è stata renderli di capacità offensiva – «l’Italia però non possiede Apr armati perché gli Usa, da cui provengono i mezzi in dotazione ai nostri militari, non hanno ancora concesso l’autorizzazione a farlo», racconta Luciano Castro, esperto del settore e presidente della Roma Drone Conference, «anche se Obama recentemente, davanti al montante terrorismo internazionale, ha prospettato un’apertura in questo senso» – la vera rivoluzione a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni, da quando la tecnologia è diventata più economica e quindi più diffusa, è il passaggio dal campo militare a quello civile.

Per gioco o per lavoro

Un vero e proprio boom, anche in Italia dove il primo codice di regolamentazione vige da meno di un anno.
Se con gli aeromodelli soprattutto si gioca, l’applicazione dei più sofisticati e costosi Apr non conosce limiti ed è in continua evoluzione in ogni campo professionale, dal drone journalism all’agricoltura di precisione, fino alla ricerca scientifica. Usati per spiare, anche, vengono sempre più spesso impiegati nel controllo di oleodotti, gasdotti o linee ferroviarie. «Sulla scia della moda – continua ancora Castro – migliaia di microaziende hanno comperato piccoli o medi Apr, magari un fotografo che fa matrimoni oppure un contadino per la sua azienda; ma poi si sono dovuti confrontare con il regolamento, l’assicurazione, la certificazione della macchina, l’abilitazione del pilota e spesso operano nella completa illegalità».

Nei garage o nelle fabbriche

A produrli sono aziende storiche, di decennale esperienza nel campo dell’aeronautica che stanno guardando con interesse a questo mondo nuovo, come l’Alenia Aermacchi e Selex Es del gruppo Finmeccanica, la Piaggio o la Ids del gruppo Agusta. C’è anche chi li costruisce da sé, in garage, usando progetti abbastanza semplici da reperire on line, ma sono molte soprattutto le start up promosse negli ultimi dieci anni da ingegneri solitamente giovani che vengono dal mondo dell’informatica e della robotica e si applicano a questo nuovo business, come Flytop, Skyrobotic o Italdrone. Quest’ultima impresa, di Ravenna, con una ventina di dipendenti, assembla per esempio telai prodotti in Cina, motori svizzeri e centraline tedesche, come racconta un suo manager Gianluca Rovituso. Un business, quello dei droni, in cui eccellono gli States e Israele, ma che oggi vede l’Asia correre in fretta verso la vetta. Spiega Castro che «il più grande produttore mondiale di Phantom, il più versatile dei piccoli droni, che a seconda dei sensori montati può rappresentare la fascia bassa dell’Apr professionale o quella alta del ludico, è la Dji di Hong Kong».

I droni sono «una parte innovativa dell’aviazione – ha detto il vice presidente del Copasir, Giuseppe Esposito, durante la conferenza – con questa industria dei velivoli si possono creare tra i 60 e i 70 mila posti di lavoro nei prossimi tre anni. È una grande opportunità per l’Italia, ed è questa la frontiera della nostra sicurezza interna ed esterna. Occorre però – ha aggiunto – a livello europeo una direttiva comune che regolarizzi l’utilizzo di questi strumenti: dal 2008 esiste un direttiva che stabilisce che i droni sono un’opportunità per la sicurezza delle nazioni, ma fino ad ora nessun Paese ha ricevuto dei finanziamenti».

In cerca di…

La novità in Italia è che i droni entrano ora a pieno titolo nell’armamentario della Forestale, di alcune polizie municipali e di quella di Stato, che a Roma ha presentato ufficialmente il Flysecur, un piccolo aeroplanino supersilenzioso di un paio di metri di apertura alare, prodotto dalla romana Flytop, che veste la livrea blu della polizia, «studiato appositamente per le attività di ricerca e di intelligence nella guerra al terrorismo».
«Grazie ai droni siamo potuti intervenire in luoghi inaccessibili dopo il terremoto dell’Emilia Romagna o ad Olbia, dopo l’alluvione, – racconta Alessandro Corrias, della polizia locale di Alghero – li usiamo per il contrasto all’edilizia abusiva, per controllare l’erosione delle coste o i volumi di traffico». Il problema, aggiunge il suo collega Umberto Ruzittu di Foligno, «è che il regolamento Enac non prevedeva la possibilità di utilizzare droni per servizi di polizia stradale “in house”. Ma oggi dopo un lungo carteggio con l’autorità preposta, abbiamo ottenuto l’autorizzazione e possiamo usare gli Apr per operazioni di polizia locale».

Anche la Protezione civile della regione Umbria ha dovuto ottenere – prima in Italia tra le strutture nazionali – l’autorizzazione Enac per utilizzare un esaelicottero radiocomandato che pesa 5 chili e ha un’autonomia di volo di 40 minuti per «monitorare alcune frane pericolose come quella che da un anno circa blocca via Flaminia all’altezza di Foligno» o per altre attività di protezione civile.
Il Corpo forestale dello Stato invece non li ha ancora comperati ma usa i droni in via sperimentale per fare indagini sugli incendi. «Ogni anno investighiamo su circa 500 incendi di bosco – dice Marco Di Fonzo, responsabile del Nucleo Investigativo Antincendi Boschivi (Niab) – e con gli Apr abbiamo moltiplicato l’efficacia e ridotto l’impiego di uomini. I sensori permettono di perimetrare l’incendio e rilevare anche i parametri del vento e altri dati. Lanciando poi un algoritmo si può riuscire a risalire alla causa del rogo e dunque anche più facilmente agli autori». C’è però «un problema di qualificazione degli operatori – continua Di Fonzo – perché oggetti che costano decine di migliaia di euro, con il vento e le fiamme sono a rischio, se non ben pilotati».

L’ambulanza che vola

«Ci stiamo perfezionando nei soccorsi speciali e non potevano non prendere in considerazione l’utilizzo dei droni: i nostri volontari già li avevano utilizzati per controllare i campi profughi in Kurdistan». Maria Teresa Letta, vice presidente nazionale della Croce Rossa italiana, ha presentato ufficialmente a Roma, durante la conferenza sui droni, il progetto – in capo al comitato centrale della Croce Rossa, dunque all’ente pubblico – che prevede l’uso sistematico dei Sapr (il sistema integrato dei droni con relative centraline e apparati di terra) per le attività di ricerca e soccorso in caso di disastri e catastrofi, in Italia e anche all’estero. «Saranno utili in scenari post-terremoto per rendersi conto dell’entità dei danni e ci faciliteranno molte altre operazioni di protezione civile, di pace e di soccorso», ha aggiunto Maria Teresa Letta. Dunque, dopo il progetto-pilota svoltosi nello scorso anno a Bologna, La Croce rossa prevede l’attivazione in tempi brevi delle prime 10 unità operative sul territorio nazionale, che saranno dotate di una ventina di piloti e altrettanti droni multirotori. «Abbiamo creato anche un sala operativa nazionale – ha raccontato Roberto Antonini, delegato tecnico nazionale del soccorso in emergenza – che sovrintende ai tre coordinamenti di area Nord, Centro e Sud».
Dunque tutto è pronto: il futuro, come recita il titolo del saggio di Roberto Alfieri, è sopra di noi.