Un altro anno è passato e non c’è stato cenno di un’iniziativa del Governo sulla questione droghe. In tutta la legislatura, che oramai giunge al termine, il nulla ha regnato sovrano. Sono rimasti inevasi anche gli adempimenti istituzionali previsti per legge: la Conferenza nazionale triennale in debito di ormai otto anni, la Relazione al Parlamento uscita nel 2016 con inspiegabile ritardo e completata con l’aiuto totalmente gratuito delle organizzazioni non-profit.

Inoltre è solo per merito degli obblighi ingiunti da due Corti, la Corte Costituzionale che ha imposto di rivedere alcune parti della Fini-Giovanardi, e la Corte di Giustizia europea che ha prescritto di porre termine al sovraffollamento delle carceri italiane, che si è ridotto, purtroppo solo in parte, il rischio di carcerazione per le persone dipendenti o consumatrici di sostanze psico-attive.

Il patto di «non belligeranza» e di condivisa indifferenza del Governo non si limita alla disattivazione del Dipartimento antidroga, allo stallo della riforma della legge 309 e al binario morto in cui è stata dirottata la proposta di legge sulla cannabis, ma tradisce un complessivo disinvestimento su tutta l’area del sociale.

Sulla questione «droghe» l’Italia, in ambito internazionale, ha battuto un solo colpo, pur significativo, in ambito Ungass, alla Conferenza di New York del 2016, dove è stata anche restituita dignità alla Riduzione del danno, che gli anni della gestione Giovanardi-Serpelloni del Dipartimento anti-droga avevano persino censurato nella sua dizione.

È stato tuttavia un singolo episodio, reso possibile per la grande spinta e l’enorme lavoro preparatorio del Cartello di Genova e delle organizzazioni che vi aderiscono, che hanno di fatto trainato la compagine governativa. È venuta infatti a mancare la necessaria continuità successiva, tanto è che ai tavoli internazionali di Bruxelles e Vienna continua a presenziare la funzionaria imposta dalla gestione proibizionista.

In base ai recenti dati pubblicati dall’Osservatorio europeo di Lisbona, il fenomeno, per quanto riguarda l’Italia, denota un progressivo peggioramento: secondi in Europa per il consumo di cannabis, terzi per quello di cocaina e quarti per l’eroina, con un sensibile aumento delle overdosi.

Fare finta che, come per l’Aids, la situazione sia ormai sotto controllo e non valga la pena riaccendere i riflettori, si chiama “politica dello struzzo”.

Al Dipartimento Antidroga si sono già succeduti in questa legislatura ben tre Direttori, tutti di fatto deprivati di qualsiasi significativo potere decisionale, in assenza di un riferimento politico indispensabile per indire, banalmente, la Conferenza triennale di verifica del fenomeno e dell’efficacia delle politiche che lo governano, così come prescritto dalla legge 309 del ’90.

La ricerca di interlocuzione, il dialogo, un atteggiamento costruttivo di proposta di cui si è data ampia prova in questi cinque anni da parte del Cartello di Genova e di tutto il mondo associativo, non hanno portato a risultati soddisfacenti. Bisogna prenderne atto.

Pur continuando e insistendo sull’imprescindibile necessità del confronto e della proposta, di fronte a inadempienze e omissioni istituzionali, e che ledono gravemente i diritti delle persone e dei cittadini, diventa ormai inevitabile, come gesto di responsabilità, ricorrere alla giurisdizione di tutela.

Poiché si tratta di violazioni di obblighi di legge, di cui la mancata organizzazione della Conferenza nazionale rappresenta l’aspetto maggiormente paradigmatico, il ricorso all’Autorità giudiziaria costituisce uno strumento di garanzia a cui oggi non si può più rinunciare.