Sulle orme di Don Gallo, la sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, nella sua Genova, è piena. Operatori e consumatori, magistrati e rappresentanti delle associazioni, amministratori locali e qualche parlamentare, tutti a discutere di una nuova politica sulle droghe dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha messo la parola fine alla brutta storia della legge Fini-Giovanardi.

A chi si chieda, di fronte a scialbi confronti parlamentari, dove si discutano le politiche per il futuro di questo Paese si potrebbe rispondere: qui, per esempio. A Genova quattordici anni dopo l’ultima Conferenza nazionale sulle droghe degna di essere ricordata, quando don Gallo capitanava da San Benedetto una compagine scomposta di gruppi e associazioni che chiedeva al centro-sinistra del tempo di osare di più. Quattordici anni dopo siamo ancora qui e ripartiamo da Genova.

No, non siamo esattamente nel punto di partenza. La Fini-Giovanardi per fortuna è alle nostre spalle. E d’altro canto ha lasciato sul selciato la sua scia di pene e sofferenza. Siamo tornati alla normativa precedente, al testo unico sugli stupefacenti voluto da Rosa Russo Iervolino e da Giuliano Vassalli (per conto di Bettino Craxi), così come fu emendato delle cose più truci dal referendum popolare del 1993. Da qui si riparte.

Si discute, a Genova, di come aprire l’Italia alle nuove sperimentazioni che si affacciano nel mondo, dal Portogallo alla Spagna, dall’Uruguay agli Stati Uniti. Intanto, però, c’è da curare le ferite prodotte dalla legge abrogata. Chi ha ancora un giudizio pendente per fatti di droghe leggere potrà essere giudicato con pene sensibilmente più lievi. Chi ha scontato per intero la sua pena, invece, non avrà risarcimenti per l’ingiustizia subita.

Incerto è il destino di chi la pena ce l’ha ancora in corso: come potrà scontare una pena giudicata illegittima dalla Corte costituzionale? Una lacuna normativa e le sue possibili, divergenti soluzioni impone al nuovo Governo guidato da Matteo Renzi la responsabilità di una scelta: un decreto-legge che dica ai giudici cosa fare di quelle migliaia di condannati che stanno subendo una pena giudicata illegittima dalla Consulta. E nello stesso decreto si dovrà pure risolvere la doppia irragionevolezza di una previsione penale per fatti di lieve entità che non distingue tra droghe leggere e quelle pesanti e che punisce, quasi allo stesso modo, la detenzione di piccoli e di ingenti quantitativi di droghe leggere.

Ma la vicenda della Fini-Giovanardi e, nei mesi e negli anni scorsi, quella della giurisprudenza europea sulle condizioni di detenzione ci insegnano che non si può mollare la presa. L’appello al Governo non può essere spuntato. Come dopo la sentenza Suleijmanovic, associazioni, garanti e legali hanno investito di centinaia di ricorsi la Corte europea dei diritti umani e hanno riaperto il dibattito pubblico sulle condizioni di detenzione in Italia; come dall’impegno de La Società della Ragione e delle camere penali si è arrivati alla pronuncia della Consulta e a un nuovo dibattito sulle droghe; così, oggi, da Genova viene l’indicazione di garantire a tutti, ma proprio a tutti i condannati in carcere per detenzione di droghe leggere la possibilità accedere al giudice dell’esecuzione perché ne ridetermini la pena.

Rimosse queste assurdità, si potrà discutere di una nuova politica sulle droghe più giusta e più umana, che distingua nettamente le politiche sociali e sanitarie di cura e prevenzione dell’abuso dalle norme penali di contrasto alle organizzazioni criminali. Il Manifesto di Genova è quasi pronto.