Come abbiamo avuto modo di sottolineare lo scorso anno, alla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha cancellato gli aggravamenti imposti dalla cosiddetta «legge Fini-Giovanardi» non hanno fatto seguito ulteriori modifiche dell’impianto repressivo e sanzionatorio che ispira l’intero Testo Unico sulle sostanze stupefacenti Jervolino-Vassalli. Il sistema di repressione penale e amministrativo continua ad essere al centro dell’applicazione della normativa italiana sulle droghe.

I dati in pillole

17.733 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2016 lo erano a causa dell’art. 73 del Testo unico che punisce la produzione, il traffico e la detenzione di droghe illecite. Si tratta del 32,52% del totale: un detenuto su tre è imputato/condannato sulla base di quell’articolo della legislazione sulle droghe.

A questi si aggiungono 5.868ristretti per art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), il 10,74% del totale, in calo rispetto al 2015.

In totale il 43,26% dei detenuti in Italia è per violazione della legge sulle droghe

Da questo punto di vista, particolarmente rilevante è l’analisi differenziata e parallela delle presenze in carcere per detenzione o per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti: queste ultime variano tra un minimo percentuale di 8,95% (2009) e un massimo percentuale di 11,43% (2014). Ciò significa che tra presenze ex art. 73 ed ex art. 74 c’è un rapporto che varia tra 3:1 e 4:1.

Nonostante la condotta sanzionata dall’art. 74 sia ben più grave (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), la repressione si concentra più sui «pesci piccoli» che sui consorzi criminali i quali, grazie a una migliore organizzazione e a maggiori risorse, non solo restano fuori dai radar della repressione penale ma ne traggono anche vantaggio, trovandosi ad operare in un mercato ripulito dai competitori meno esperti in una situazione di oligopolio (problema noto agli studiosi come Darwinian trafficker dilemma).

[do action=”citazione”]Il 34% delle persone entrate in carcere è tossicodipendente. Tra i consumatori puniti, l’80% usa cannabinoidi[/do]

13.356 dei 47.342 ingressi in carcere nel 2016 sono stati causati da imputazioni o condanne sulla base dell’art. 73 del Testo unico. Si tratta del 28,21% degli ingressi in carcere: dei 1.519 ingressi in più in carcere rispetto all’anno precedente, il 70% (1072) è dovuto a condanne o accuse di produrre, vendere o detenere droghe proibite.

Si inverte il trend discendente avviato nel 2012 (a seguito della famosa sentenza Torreggiani e dall’adozione di politiche deflattive della popolazione detenuta) e così torna ad aumentare anche la popolazione detenuta.

14.157 dei 54.653 detenuti al 31/12/2016 sono tossicodipendenti. Il 25,9% del totale, in costante aumento da alcuni anni dopo che il picco post applicazione della Fini-Giovanardi (27,57% nel 2007) era stato riassorbito a seguito di una serie di interventi legislativi correttivi.

Per gli ingressi si tocca invece il massimo degli ultimi dodici anni: il 33,95% dei soggetti entrati in carcere nel corso del 2016 era tossicodipendente.

Nel 2016 tornano quindi ad aumentare le presenze in carcere, dopo alcuni anni di diminuzione, e torna ad aumentare la percentuale di detenuti per violazione della legislazione sulle droghe e di detenuti tossicodipendenti.

Possiamo quindi ribadire che la legislazione sulle droghe e l’uso che ne viene fatto sono decisivi nella determinazione dei saldi della repressione penale: la decarcerizzazione passa attraverso la decriminalizzazione delle condotte legate alla circolazione delle sostanze stupefacenti così come le politiche di tolleranza zero e di controllo sociale coattivo si fondano sulla loro criminalizzazione.

La repressione dei consumatori

Dopo il vistoso calo del 2015 tornano ad aumentare le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite: da 27.718 a 32.687 (+17,92%) con una impennata delle segnalazioni dei minori (+237,15%).

Aumenta sensibilmente anche il numero delle segnalazioni (da 32.478 a 36.795, +13,29%).

Si conferma marginale il peso della vocazione «terapeutica» della segnalazione al Prefetto: solo 122 persone vengono sollecitate a presentare un programma di trattamento socio-sanitario; 9 anni prima erano 3.008. Le sanzioni amministrative riguardano invece il 40,25% dei segnalati. La segnalazione al prefetto dei consumatori di sostanze stupefacenti ha quindi natura principalmente sanzionatoria.

La repressione colpisce per quasi l’80% i consumatori di cannabinoidi (78,98%), seguono a distanza cocaina (13,68%) e eroina (5,35%) e, in maniera irrilevante, le altre sostanze.

Dal 1990 1.164.158persone sono state segnalate per possesso di sostanze stupefacenti ad uso personale; di queste il 72,57% per derivati della cannabis.

Le misure alternative

Nonostante un leggero aumento delle misure alternative alla detenzione totali, e nonostante il pur lieve aumento, nel loro ambito, degli affidamenti in prova al servizio sociale, gli affidamenti terapeutici per dipendenti da sostanze, sono leggermente diminuiti al termine del 2016, e costituiscono il 23,35% del totale degli affidamenti e il 12,77% delle misure alternative in corso alla fine dell’anno.

Le violazioni dell’art. 187 del codice della strada

Sono significativi i dati rispetto alle violazioni dell’art. 187 del Codice della Strada, ovvero guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. I dati interamente disponibili (2015) indicano che solo lo 0,39% dei conducenti controllati a seguito di incidente stradale risulta positivo ai test antidroga.

Rispetto al nuovo protocollo operativo della polizia stradale attivo dal 2015 – che prevede l’effettuazione di test di screening sulla saliva direttamente su strada – si è rilevato come nel 2016 su 17.565 controlli l’1,22% dei conducenti fermati è risultato positivo ad almeno una sostanza stupefacente, in calo rispetto all’1,42% della campagna 2015 (su 14.767 conducenti fermati).

Da notare come nel 2016 oltre il 30% dei conducenti risultato positivo al test salivare effettuato in strada sia poi stato «scagionato» dalle ulteriori analisi di laboratorio (nel 2015 i falsi positivi furono il 21%).