La Relazione al Parlamento 2021 sullo stato delle tossicodipendenze, dedica, opportunamente, molto spazio all’analisi degli effetti delle restrizioni, connesse alla pandemia, sulle diverse componenti del fenomeno. Il quadro che ne esce è che il mercato ha mantenuto la sua attività economica e suoi profitti, le persone che usano droghe sono riuscite a graduare e gestire i propri consumi controllando i rischi e a mantenere una relazione con i servizi. Sostanzialmente si confermano le tendenze degli ultimi anni sulla diffusione di modelli di uso e consumo di droghe diversificati, non più riducibili al paradigma della dipendenza.

La Ministra Dadone, nella sua introduzione, concentra l’attenzione sulle “nuove tendenze” dei consumi giovanili, che nell’impatto con la pandemia mostrerebbero una realtà di “allarme e di emergenza”. E nella introduzione del Dipartimento delle Politiche Antidroga si chiarisce come il tema centrale sia “l’accelerazione imponente e generalizzata” dei “cambiamenti già in atto”. Ad una lettura attenta dei dati, in realtà appare che la pandemia abbia messo in luce piuttosto le contraddizioni storiche delle politiche sulle droghe mentre i cambiamenti in atto, che destano allarme, risultano piuttosto stabili disegnando il “nuovo” scenario di questo millennio.

D’altra parte è singolare che la contraddizione più importante, quella dell’impatto sul sistema penale, non venga nemmeno presa in considerazione. Nella Relazione risulta che un terzo dei detenuti sia recluso per effetto di un articolo “costruito” ad hoc dalla legge sulle droghe, e che i tossicodipendenti sono stati gli unici che non hanno beneficiato delle misure alternative alla detenzione nel corso della pandemia. Da tempo e in particolare nel Dodicesimo Libro Bianco sulle droghe, denunciamo questo fenomeno di deportazione di migliaia di persone che dovrebbero essere curate o ritornare alla propria vita quotidiana, riducendo, tra l’altro, il sovraffollamento delle carceri.

Anche nella parte dedicata ai servizi vi sono informazioni importanti che non sono state prese in considerazione. Ad esempio, opportunamente sono stati riportati gli interventi di Riduzione dei Danni e dei Rischi sottolineandone l’efficacia, ma non si è detto che ciò che ha funzionato è stato un approccio di bassa soglia, che ha coinvolto le persone, sostenuto le competenze e la responsabilizzazione. E sarebbe stato utile verificare che anche i servizi tradizionali, i SerD e le Comunità, sono riusciti a garantire le loro prestazioni, nonostante le restrizioni, in quanto hanno adottato un approccio analogo. Sulla base di questa analisi critica dei dati è possibile ripensare i modelli di intervento e dei servizi piuttosto che continuare a seguire la prospettiva usurata e stigmatizzante della dipendenza.

Nella Relazione al Parlamento, se vogliamo leggerli, ci sono tutti gli elementi del fallimento dell’approccio della guerra alla droga, che non ha intaccato i grandi profitti della criminalità organizzata, che ha visto ampliare i consumi di droghe in una realtà resa rischiosa dalla illegalità, ha prodotto una incarcerazione di massa, ha aumentato i processi di stigmatizzazione e i conflitti intergenerazionali. La Ministra Dadone auspica che la Relazione al Parlamento possa rappresentare la base per un confronto “senza pregiudizi” tra “tutti gli attori coinvolti” all’interno della Conferenza Nazionale sulle Droghe. Noi di Forum Droghe e le nostre Reti ci siamo ma chiediamo che, dopo dodici anni di silenzio, la Conferenza Nazionale sulle Droghe non sia un evento pubblico rituale ma una occasione per discutere su come realizzare un cambio di rotta delle politiche sulle droghe: se mantenere il modello attuale repressivo fallimentare o se adottare una logica di governo politico e di regolazione sociale del fenomeno.