Quando si fa ricerca non si smette mai di chiedersi a cosa serva farla, e come far sì che possa essere spendibile, in qualche modo utile alle persone. Domande pressanti nel campo dei consumi di droghe, dove le litanie dominanti – devianza, malattia, droga-demonio, una-volta-dipendente-per sempre-dipendente, dalla cannabis all’eroina e via elencando – segnano un dibattito pubblico che ripete, con una sorprendente perseveranza, immagini potenti, solide e stolide, destinate a costruire un senso comune che descrive le droghe (illegali) come un invincibile potere assoluto, ma anche e purtroppo a orientare le politiche e il consenso attorno ad esse.

Così accade che, di default, a inizio pandemia scattino profezie di catastrofe: consumi di droghe alle stelle, viraggi pericolosi di ogni sorta, “basta farsi” di qualcosa, aumento delle overdose, picchi di microcriminalità perché serve più denaro per affogare in un uso compulsivo l’impatto della pandemia…. A giudicare dai dati di diverse fonti, nulla di tutto questo è accaduto, in Italia, durante il primo lockdown del 2020: i consumi sono rimasti sostanzialmente stabili, caso mai hanno registrato in media una flessione, soprattutto per cocaina, stimolanti e eroina, nonostante il mercato illegale non abbia mai chiuso; c’è stato un aumento, per altro non eclatante, di uso di alcool, ma è interessante che, se è aumentato in alcuni casi l’uso quotidiano, non così il binge drinking, cioè l’eccesso e le abbuffate; non c’è stato un picco di overdose; non un allarme microcriminalità droga-correlata.

Quando le profezie si sbagliano è perché è sbagliato lo sguardo sul fenomeno su cui vaticinano. La ricerca serve a prospettare uno sguardo diverso, eccentrico rispetto alle profezie infondate, o almeno così dovrebbe essere. Subito dopo il lockdown un gruppo di ricercatori e operatori, professionali e peer, dei servizi di Riduzione del danno hanno condotto – senza un euro di fondi – una ricerca qualitativa, con interviste in profondità raccolte in otto città, per capire come le persone che usano droghe hanno gestito la loro vita e i loro consumi durante il confinamento.

La ricerca – La vita e i consumi delle persone che usano droghe durante il primo lockdown – descrive persone, assai diverse per età, genere, esperienze di consumo, sostanze usate, che mettono in atto strategie di controllo e regolazione dei propri consumi, evitano comportamenti di uso compulsivo, limitano rischi e danni sulla base dell’esperienza pregressa e spesso arrivano a diminuire dosaggi e limitare il numero di sostanze usate. Ma soprattutto, persone che, anche quando hanno delle difficoltà, o vivono in strada o hanno alle spalle decenni di uso, esprimono un elevato livello di auto riflessività, consapevolezza e razionalità delle proprie scelte, a cominciare da quelle di una regolazione dell’uso di droghe orientata al minor rischio e a una maggiore funzionalità. Persone che non sono andate spasmodicamente a caccia di qualsivoglia sostanza, come la profezia annunciava. Che parlano dei propri apprendimenti dall’esperienza della pandemia, del futuro, della società in cui viviamo. Che sperimentano le disuguaglianze, e quando sono in difficoltà lo sono più per la perdita del lavoro, per l’isolamento o per non avere un tetto piuttosto che per una molecola-demonio.

La catastrofe non c’è stata, ed è solo grazie a loro, alle loro capacità di controllo, a volte in alleanza con i servizi, dove sono rimasti aperti, non certo grazie a un mercato nero imperterrito o a imperterrite disuguaglianze sociali.
A cosa serve la ricerca? A non perdere tempo in profezie sbagliate, a smettere di leggere le persone attraverso le droghe e a cominciare a leggere le droghe attraverso le persone: si scoprirà che le droghe si possono gestire e che la guerra non serve.

La ricerca è online su fuoriluogo.it/lockdown