Due anni dopo l’appuntamento della Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGASS) dedicata alle politiche sulle droghe, questa settimana a Vienna i rappresentati degli Stati aderenti alle convenzioni Onu sugli stupefacenti tornano ad incontrarsi.

La 61esima Commission on Narcotic Drugs (CND) servirà a fare il punto e preparare i lavori del prossimo Meeting di Alto Livello, già convocato per il 2019 sempre a Vienna.

Dall’aprile del 2016 molte cose sono cambiate, anche se il bilancio complessivo è in chiaroscuro. Altri quattro Stati Usa si sono espressi a favore della regolamentazione legale della cannabis attraverso il referendum, mentre uno, il Vermont l’ha legalizzata con voto del Parlamento.

Il Canada si avvia verso la legalizzazione e il 7 giugno con il voto del Senato potrebbe essere il primo paese del G8 a legalizzare l’uso ricreativo della cannabis. Norvegia e Francia, ma anche la Thailandia, hanno annunciato processi di depenalizzazione.

Si è aperta una stanza del consumo a Parigi e se ne apriranno due a San Francisco.

Le condanne a morte per droghe eseguite nel mondo sono in diminuzione, 280 nel 2017 ovvero meno della metà di quelle del 2015.

D’altro canto l’offensiva – per ora solo annunciata – del ministro della Giustizia Sessions contro la cannabis legale Usa, con il ritiro del «Memorandum Cole», il provvedimento di Obama che metteva al riparo da ingerenze federali gli stati riformatori, rischia di innescare altre gravi misure.

È arrivato da poco l’annuncio di Trump di valutare aumenti di pena, con l’introduzione della pena di morte per i trafficanti, per contrastare l’epidemia di morti per l’uso di oppiacei che sta sconvolgendo gli Stati uniti. Il Presidente americano ha detto di voler seguire l’esempio di quei paesi che «hanno molti meno problemi di noi con le droghe e quindi anche noi avremo pene molto dure». Un riferimento inquietante, visto che Trump in passato ha già lodato le politiche repressive del Presidente filippino Duterte, che secondo le Ong hanno provocato oltre 12.000 morti in meno di due anni.

Harm Reduction International nel suo rapporto sulla pena di morte legata alle droghe ha fatto esplicito riferimento ai «preoccupanti segnali che l’Indonesia stia adottando un’analoga risposta violenta e il sostegno esplicito alla “guerra alla droga” del presidente Duterte espressa da altri paesi della regione e non solo, sollevano serie preoccupazioni sul fatto che stiamo assistendo a una nuova tendenza che potrebbe normalizzare l’uccisione di persone per fatti di droga e annullare anni di progressi costanti».

Forum Droghe sarà presente ai lavori della CND co-promuovendo un side event della società civile proprio attorno alle esecuzioni extragiudiziali nelle Filippine. Sarà anche l’occasione per presentare i contenuti espressi nella lettera aperta inviata al nostro governo dalle Ong italiane che sono impegnate per la riforma delle politiche sulle droghe.

È necessario che l’Italia sostenga in sede Onu la necessità di proseguire il dibattito aperto durante UNGASS 2016, che ha messo in evidenza il fallimento della war on drugs approvata nel 1998 e sollecitando l’urgenza di una inversione di rotta attraverso una lettura flessibile delle Convenzioni internazionali. La Riduzione del danno va inclusa nelle politiche globali bilanciando l’eccessivo investimento in misure penali a favore invece di interventi sociali e sanitari. Sulle droghe l’Italia deve «riprendere a giocare un ruolo in linea con una radicata cultura della democrazia, dell’approccio umanitario, della solidarietà sociale e dei diritti».

La lettera aperta delle Ong italiane è on line su Fuoriluogo.it