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Comincia oggi in California l’incontro di due giorni tra Obama e Xi Jinping, presidente della Cina, sperando che l’informalità del meeting possa sciogliere la diffidenza reciproca accumulata nell’ultimo periodo. In Cina c’è attesa e trepidazione, il momento viene vissuto come una svolta. Per He Yafei, ex ministro degli esteri cinesi, la situazione delle relazioni Cina-Stati Uniti sarebbe infatti al minimo storico.

He Yafei, in un articolo su Foreign Policy (The trust deficit) sostiene che solo nel 1972 lo stato dell’arte tra le due potenze era a un livello così basso, quando Nixon fece la sua prima visita in Cina. Cos’è cambiato negli ultimi tempi? Tre i fattori generali di frizione: la questione legata allo spionaggio informatico, con gli Stati Uniti che accusano Pechino di programmare scientifici attacchi ai propri segreti di stato e industriali. In questo caso la Cina ha sempre risposto negando ed anzi affermando di essere vittima di attacchi americani (in questi giorni i quotidiani locali riportano di masse ingenti di dati che confermerebbero questa posizione). E pare che i funzionari cinesi impegnati sull’incontro non siano troppo disposti a concessioni sul tema. Il secondo punto è quello del commercio; che indica il trend che i cinesi vorrebbero affermare con questo incontro: gli equilibri sono cambiati e ora la Cina ha la forza di provare a imporre propri marchi o acquisire giganti americani (come capitato con Smithfield).

Infine il campo geopolitico, il più rilevante, dove si giocherà il vero match tra Obama e Xi Jinping in una gara al compromesso migliore. La Cina non ha certo nascosto il proprio fastidio per il rinnovato attivismo di Obama nell’area del Pacifico, che si è andato a porre come riferimento per paesi che con la Cina hanno importanti contese territoriali: Giappone per le isole Senkaku o Diaoyu, Taiwan e Vietnam per il mare cinese del Sud. In questi casi la Cina non ammette intromissioni e come contromossa ha riacceso l’interesse per il Medio Oriente e per l’America Latina, come conferma la visita di Xi nei giorni scorsi in Messico. In questo gioco di posizione, la Cina potrebbe mettere in campo la sua alleanza con la Corea del Nord, confermando le sue intenzioni non più completamente amichevoli con Pyongyang.

«La precedente amministrazione – ha scritto il Quotidiano del Popolo – ha sempre messo al primo posto l’assicurazione della pace e della stabilità della penisola coreana, mentre l’attuale pone come priorità la denuclearizzazione della penisola». Si tratta di uno scarto importante, che complici gli interessi economici che ormai legano Pechino a Seul, potrebbe essere utilizzato per chiedere una minore ingerenza degli Stati Uniti nelle questioni che Pechino definisce di propria competenza. Sembrano questi i nodi su cui si basa un nuovo riconoscimento degli Usa verso l’emergere della Cina, non più come solo potenza economica, ma anche come rinnovata forza diplomatica nello scenario internazionale.

L’espressione più usata in Cina in questi giorni è infatti in daguo guanxi, più o meno significa «un nuovo rapporto tra grandi potenze»: è quanto la Cina chiede di inaugurare agli Stati Uniti. È uno «slogan» molto presente nelle ultime produzioni, giornalistiche e non solo, che prepara alla necessità di affrontare il rapporto tra prima e seconda economia del mondo, sulla base di una rinnovata fiducia. Il messaggio della Cina è molto chiaro: gli equilibri sono cambiati, il Dragone si prepara al sorpasso economico e dunque anche il filo che unisce le due potenze deve essere modificato, rinnovato. Quella situazione win win tra Cina e Stati Uniti è destinata a cambiare e Pechino sembra essere disposta ad avere un ruolo più attivo nel guidare il processo.

Come hanno notato funzionari americani, Xi Jinping mostra l’intenzione di avere un ruolo propositivo, determinato, ma alle sue condizioni, per guidare la relazione. Un approccio molto diverso da quello del suo predecessore Hu Jintao, il cui agire solo di rimando pare abbia infastidito non poco lo stesso Obama. Hu Jintao però portava nel mondo l’idea di una Cina rappresentata ancora come paese in via di sviluppo, mentre il nuovo leader, attraverso il «sogno cinese» sembra avere intenzioni più chiare, senza nascondere un nazionalismo latente che gli viene rimproverato dai suoi detrattori e che preoccupa gli americani, timorosi di pensare ad una eccessiva vicinanza tra Esercito cinese e Xi.

La verità però dimostrerebbe che il nuovo equilibrio, che pende più in favore di Pechino, stia dando molta fiducia ai cinesi e ponga invece in difficoltà gli americani, non abituati a doversi rassegnare, per una volta, ad essere momentaneamente la parte debole ad un tavolo di trattative.