Predrag Matvejevic scrive nel suo meraviglioso Breviario Mediterraneo: «Un’ Europa senza Mediterraneo è come un adulto privato della sua infanzia». Vale a dire un mostro.

Così è: l’Unione europea è stata concepita e poi costruita (non a Ventotene, ma quando è stata concretamente fatta) tutta attaccata al nord. Perchè il nord era la sola modernità che nel 1957 i governi occidentali riuscivano a immaginare, quella del capitalismo avanzato.

Il resto, il sud del mondo, che si affaccia sul mare fra penisole greca, italiana, iberica e nord Africa, rispettivamente serie B e serie C. Come le squadre di calcio, tant’è vero che ogni volta che il nostro paese ha qualche problema nel restare agganciato al mitico nord, chi sta al governo grida disperato «oddio precipitiamo nel Mediterraneo», proprio come Buffon direbbe perdendo una partita decisiva: «Dio mio, rischiamo di cascare nella B».

Dal sud del Mediterrano è venuto nei secoli quasi tutto quello che sappiamo; poi la scoperta dell’America deviò l’attenzione e quel mare restò tagliato fuori. Il colonialismo fece il resto.

Nonostante le buone intenzioni proclamate alla fine della seconda guerra mondiale, sull’onda della spinta democratica che l’abbattimento del fascismo aveva suscitato, l’atteggiamento europeo non cambiò: ci vollero più di vent’anni perchè tutti i paese africani raggiungessero l’indipendenza politica, e poco tempo perché il neocolonialismo europeo riducesse a poca cosa quella conquista. Fu l’inizio di una più subdola oppressione: non più la diretta rapina delle materie prime, ma la grande operazione seduttiva delle istituzioni internazionali create nel frattempo.

Che, come i pusher, intervenendo nei paesi più poveri, hanno indotto un modello di sviluppo di tipo occidentale, offrendo crediti che non avrebbero mai potuto esser ripagati, ma che avrebbero aperto la strada a distorte economie dipendenti, alla crescita di gigantesche metropoli miserabili, all’asservimento di una sottile fascia compradora, la corrotta élite politica tutt’ora dominante. Chi si è opposto, da Mossadeq a Lumumba a Sankara, eliminati.

Con grande enfasi l’Unione europea, fra gli anni ’80 e ’90, lanciò il piano che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi, quello detto «processo di Barcellona», per via della città dove fu siglato. Un progetto di inclusione del Mediterraneo, un concetto ben diverso da quello necessario: cooperazione, condivisione. E cioè liberalizzare gli scambi fra parti ineguali, una soluzione che come è ovvio, favorisce chi può esportare beni, non chi è costretto solo a importare.

Il rapporto Europa-Mediterraneo è così diventato drammatico. Questo confine segna oggi una divaricazione di reddito maggiore di quello pur enorme fra Messico e Stati Uniti.

E però la Tv e la insidiosa apertura degli scambi ha consentito al nord di esporre la sua luccicante società, contemporaneamente chiudendo le sue porte a chi voleva esserne parte. Il blocco di ogni sviluppo nel sud, accompagnato da intrerventi militari criminali, ha creato una situazione incendiaria: l’impossibilità di assorbire nella produzione locale milioni di giovani africani, cui viene detto che i capitali possono andare dove vogliono, gli umani, se sono arabi o neri o asiatici, no.

C’è da meravigliarsi se oggi il problema dell’immigrazione è così drammatico? C’è da indignarsi perché le voci di chi aveva proposto progetti di co-sviluppo, vale a dire di politiche realmente condivise, sono state sotterrate. Il risultato è che il sud sta malissimo, ma il nord, si trova a fare i conti con i risultati catastrofici della sua miopia. Che ha impedito all’Europa di capire che il futuro non passerà più per le borse di Londra o Francoforte, ma per questo crocevia mediterraneo, così come ad est anziché ad ovest.

E, anche, che il futuro sarà multietnico, che i popoli sono destinati a mischiarsi sempre più e che costruire barriere non è solo tragico, ma anche ridicolo.