L’indulto prima dell’amnistia. Che significa ventimila detenuti condannati a pene fino a tre anni, o vicini alla fine della pena, da scarcerare. La pressione sulle carceri si abbasserebbe di molto, anche se non abbastanza, visto che l’eccedenza teorica oggi è di 24mila detenuti e quella pratica di 26mila. È questa la soluzione per la quale il presidente della Repubblica si sbilancia, partecipando a un convegno organizzato dalla commissione sui diritti umani del senato. Giorgio Napolitano è tornato nella sala Zuccari dove due anni e mezzo fa denunciò la «prepotente urgenza» di trovare una soluzione all’emergenza carceri. Ha preferito non intervenire, avendo da poco esposto il suo pensiero nel messaggio al parlamento. Ma all’uscita ha spostato la tesi sostenuta da Vladimiro Zagrebelsky. «L’indulto è la sola misura capace di rispondere alle intimazioni che la Corte dei diritti dell’uomo ha rivolto all’Italia». Si tratta della ben nota sentenza «pilota» Torreggiani, in base alla quale il nostro paese deve porre rimedio entro fine maggio al trattamento «inumano e degradante» che riserva ai detenuti.

Nel messaggio alla camere, lasciato praticamente cadere dal parlamento tanto che il professor Andrea Pugiotto ha proposto una sessione ad hoc per discuterlo adeguatamente, il presidente della Repubblica aveva parlato dell’amnistia accanto all’indulto. Misure straordinarie necessarie per fronteggiare l’obbligo giuridico che deriva dalla sentenza di Strasburgo ma anche l’obbligo costituzionale del rispetto dell’articolo 27. Accanto a queste Napolitano aveva caldeggiato misure strutturali che possano evitare la rapida riproposizione del problema: depenalizzazione e maggior ricorso alle alternative al carcere. Zagrebelsky, ex giudice della Corte dei diritti umani di Strasburgo – dove peraltro si espresse contro la condanna dell’Italia nel caso analogo e precedente a quello Torreggiani (sentenza Sulejmanovic del 2009) – ha sostenuto che l’amnistia avrebbe un impatto minimo sulle scarcerazioni e un costo legato alla cancellazione di processi giunti ormai in Cassazione. L’argomento contrario è però che senza amnistia si continuerebbero a celebrare processi a vuoto, essendo le pene coperte dall’indulto. E solo l’amnistia potrebbe liberare gli uffici giudiziari da almeno una parte dei procedimenti pendenti (intorno al 30% secondo la guardasigilli) che sono tra le prime cause della lentezza della giustizia. E di conseguenza del ricorso abnorme alla custodia cautelare.

Quanto agli interventi strutturali, la ministra Cancellieri ha assicurato di averne alcuni pronti, da sottoporre a un prossimo Consiglio dei ministri. Si tratta di «una serie di misure volte a rafforzare il sistema delle alternative alla detenzione», e cioè l’affidamento in prova, l’affidamento terapeutico per i tossicodipendenti, la stabilizzazione dell’esecuzione della pena presso il domicilio. Si tratta in quest’ultimo caso di una misura già attiva ma in scadenza a fine anno, dunque il governo dovrà intervenire per decreto. E per decreto, ha annunciato Cancellieri, sarà finalmente prevista la figura del garante nazionale dei detenuti, una vera e propria autorità indipendente (non potrà essere dunque di semplice nomina governativa) che potrà rivolgersi direttamente al magistrato di sorveglianza. Fosse stata già attiva, ad esempio, la famiglia Ligresti avrebbe potuto rivolgersi direttamente al garante invece che alla ministra.

Anche l’indulto, come l’amnistia, ha bisogno del voto dei due terzi del parlamento per essere approvato. Evitare l’amnistia avrebbe un effetto pratico: escludere anche in linea teorica la possibilità che Berlusconi – che ha ancora processi in corso – possa giovarsi del provvedimento di emergenza. Anche perché di un indulto il Cavaliere ha appena beneficiato. Senza i voti di Forza Italia, però, nessuna legge di clemenza è possibile.