Sono trascorse già settanta ore di gioco fantasy sfrenato, epico e buffo, salvo poi sconvolgere con inattese tragedie, e siamo al confronto finale con Mordegon, l’Oscuro che ha precipitato il mondo di Erdrea in un incubo viola e nero. Riusciamo infine a sconfiggerlo, l’apice di innumerevoli avventure, il culmine di un viaggio lunghissimo. Osserviamo commossi l’epilogo e cominciano i titoli di coda. The End. Ma, ecco, scopriamo che invece Dragon Quest XI non è ancora finito. Possiamo supporre che si tratti di contenuti aggiuntivi, soltanto opzionali, come accade dopo la fine di tanti videogame, ma non è così perché un’altra immensa avventura sta cominciando e chiunque abbia vissuto le gioie e i dolori di questo gioco di ruolo giapponese di Square-Enix non può tirarsi indietro, poiché l’impresa che attende il giocatore ha una portata emozionale devastante e il suo completamento diventa imprescindibile. E mentre continuiamo realizziamo che Dragon Quest XI comincia davvero solo dopo la sua conclusione.

Appena uscito per Playstation 4, Dragon Quest XI Echi di un Era Perduta è un gioco di ruolo nipponico grandioso, che travolge con la mole dei suoi contenuti e i suoi racconti, con le sue musiche oniriche o trionfali, con le sue decine di storie, tanto che giocando sembra di vivere in prima persona un “anime” smisurato e questa dimensione “cartoonistica” è ribadita dall’arte con cui è dipinto, opera del maestro Akira Toriyama di Arale e Dragonball. Non c’è un panorama dell’amena Erdrea, dalla bellezza terribile persino quando scivola nelle tenebre, che non induca chi lo esplora a fermarsi ad osservarlo amorevole, indugiando nei pressi di incantevoli ruscelli tra valli fiorite, all’ombra di alberi secolari tra le cui fronde intravediamo scorrere nubi minacciose di pioggia, passeggiando tra favolose città dalle architetture veneziane, tibetane, giapponesi, ellenizzanti o rurali. Il mondo di Erdrea è così vasto che ci sembrerebbe impossibile esplorarlo tutto, ma ci riusciremo con il tempo, camminando, a cavallo, con una nave e un magico cetaceo volante.

Akira Toriyama con il suo studio non ha disegnato solo i personaggi principali, ma ogni abitante di Erdrea e tutte le creature che lo abitano, animandole con un talento impressionante nel restituire un senso di vita che va oltre i pixel. Ci cono centinaia di mostri diversi da combattere in strategiche battaglie a turni, dagli “slime” ridenti con gli occhioni psicopatici di ogni forma e colore ai draghi colossali, dalle tigri antropomorfe ai colossali ciclopi, dai cavalieri senza testa alle micidiali incarnazioni di male puro.

Oltre l’estetica e le dinamiche ludiche così classiche e appaganti è la narrazione a coinvolgerci come rari altri videogiochi del genere hanno saputo fare dai tempi di Final Fantasy X, una storia composta da mille altre che ripristina un’epica fiabesca che meraviglia e atterrisce fin dall’inizio nippo-biblico, nel quale un infante predestinato galleggia adagiato sulla sua culla scorrendo per le acque di un fiume. L’intreccio è sorretto da un gruppo di protagonisti che sarà difficile dimenticare, tra i migliori mai concepiti per un videogioco, ognuno con un passato misterioso, scrigno di inattesi colpi di scena e rivelazioni cruciali: l’illuminato ladro Erik, la straordinaria lottatrice Jade, le due maghe gemelle Serena e Veronica resa bimba da un incanto, il vetusto ma pimpante Rab talvolta vittima di malinconia e l’impareggiabile Sylvan acrobata e giullare, sessualmente ambiguo in una maniera sublime e gioiosa.

Undicesimo episodio di una serie di videogame di ruolo ideata da Yuji Hori che ha iniziato e definito il genere nel 1985 (il pimo Final Fantasy uscì nel 1987), l’uiltimo Dragon Quest mantiene senza bisogno di stravolgerla e di lusingare il gusto sempre cangiante del pubblico, la sua grandezza unica delle origini, mutando solo con l’evolversi delle piattaforme di gioco. Con altri capolavori “ruolistici” del Sol Levante degli ultimi mesi, come Persona 5, Xenoblade Chronicles 2 e Octopath Traveler, gli Echi di un’Era Perduta di Hori e Toriyama (ergendosi addirittura sui videogame citati) guida il ritorno trionfale di un genere del quale si è temuta l’estinzione o la metamorfosi in qualcosa di diverso, anche se non necessariamente brutto. Ma il gioco di ruolo giapponese ha ancora il suo pubblico, finchè riuscirà ad appassionarlo e a farlo viaggiare altrove, illudendolo magicamente di vivere un’epopea eroica, struggente, comica e sentimentale.

Giocare Dragon Quest XI è un gradito balsamo in epoche buie, ci induce a opporci alla tenebra e alla malvagità crescente, all’egoismo e alla presunzione dei malvagi. E’ solo un videogioco ma il suo sublime svolgimento, come una grande sinfonia, va oltre alla realtà fittizia che rappresenta, diventando il manifesto di un bene che anche nell’apparente sconfitta torna a sorgere per opporsi al trionfo becero del male, all’ottusità senza vita del vuoto. Ci ammonisce che c’è un mondo da salvare oltre quello numerico di Erdrea, il nostro.