«I tre pilastri sono già stati approvati: la governance, le semplificazioni, il piano di reclutamento nella Pa. Ma l’idea è di procedere a massima velocità». In termini di agenda significa che «entro giugno presenteremo la legge delega per la riforma di appalti e concessioni, a luglio la legge sulla concorrenza e la riforma della giustizia dovrebbe andare a giorni in cdm». Draghi si ferma qui ma la suddetta agenda proprio no. Sono una ventina le riforme che il piano approvato con mortaretti e champagne dalla Commissione europea prevede entro la fine dell’anno, una trentina i piani di investimento. Ma con una concessione importante: la riforma fiscale, quella più spinosa, potrà attendere sino a data da destinarsi. «Il progetto è ancora in discussione», spiegano magnanimi i funzionari di palazzo Barleymont.

Cinecittà, evocazioni gloriose. Il dopoguerra, tanto più che una recessione come quella da Covid «non si vedeva da allora» segnala la presidente della Commissione von der Leyen. Il Piano Marshall, perché cos’altro è il Next Generation Eu, «Italia domani» nella versione italiana, se non un nuovo piano Marshall? Di neorealismo, nella conferenza stampa che conclude il giro dei due presidenti nella città del cinema, però ce n’è ben poco. Forse perché di lavoro e lavoratori presto licenziabili i due presidenti non parlano e del resto nessuno li interroga sulla dolente nota: passerebbe da guastafeste. Più che Rossellini va in scena Liala, in uno dei suoi passaggi più zuccherosi. Mario e Ursula si coprono di complimenti, si diffondono in reciproci elogi, non smettono di ringraziarsi a vicenda.

E’ una sfida e la vince Ursula di slancio: «Voi italiani avete ispirato un intero continente. Il resto d’Europa segue le vostre impronte». L’apripista italiano è comprensibilmente soddisfatto ma sottolinea che adesso è il momento di spendere quei 191 mld, 24,9 dei quali in arrivo entro l’estate,«bene e con onestà». Perché l’occasione è grande ma i rischi e le responsabilità anche. Sono solo 7 i paesi europei che hanno chiesto di accedere non solo al finanziamento a fondo perduto ma anche al prestito. Tra questi l’Italia è l’unico Paese di prima grandezza e il solo ad aver chiesto l’intera somma disponibile: 68,9 mld in sussidi, 122,6 mld in prestito. All In e se va male salta il banco. Ma c’è una responsabilità in più e Draghi lo dice chiaramente: se l’Italia dimostra che l’investimento del Ngeu è stato una scelta vincente, «sono certo che almeno una parte del Piano diventerà strutturale». Come dire che la possibilità di rendere stabile la condivisione del debito nell’Unione dipende da quel «presto e con onestà». Draghi ripete anche, per la seconda volta, che punta a rendere permanente il fondo Sure per la disoccupazione.

Tra le righe, in quasi tutte le sue conferenze stampa, trapela la consapevolezza di quanto alto sarà in termini d’occupazione il prezzo della transizione ecologica e digitale, i due piani su cui l’amica presidente martella ogni volta che ha la parola e che costituiscono l’essenza strategica del Piano. Se tutto andrà a puntino il progetto Domani Italia dovrebbe portare in dote 240mila posti di lavoro in cinque anni ma il terremoto ci sarà comunque. Per questo, probabilmente, il premier italiano che parla già come nuova guida della Ue dopo Angela Merkel insiste tanto sulla copertura della Ue sul fronte degli ammoritzzatori. Nella sostanza, riconoscono senza sforzo a Bruxelles, il piano di Draghi non differisce da quello del predecessore.

Alla transizione ecologica è destinato quel 37% tassativamente fissato dalla Ue. Per la digitalizzazione lo sforzo è maggiore di quello richiesto da Bruxelles: assorbirà non il 20 ma il 25% delle risorse. La Commissione, in due mesi di valutazione del piano italiano che von der Leyen ci tiene a definire «dettagliata», ha chiesto e ottenuto alcune modifiche, soprattutto sul piano del possibile danno ambientale, che va evitato categoricamente, e della protezione della biodiversità. La differenza, rispetto al passo del governo Conte non sta negli obiettivi ma nell’organizzazione della gestione. Tutto a questo punto dipende da quella e dalla capacità di portare a termine in tempi record le riforme