Stabilità e unità per reagire alla Brexit. È il messaggio che ieri ha diffuso il govermatore Mario Draghi parlando al forum della Bce a Sintra, in Portogallo. Draghi ha poi raggiunto nel pomeriggio i leader europei a Bruxelles, dove era atteso per tracciare il suo quadro di previsioni per i prossimi mesi. Nell’intervento in Portogallo, comunque, il timoniere della Eurotower non ha mai fatto esplicito riferimento all’uscita del Regno Unito dalla Ue, pur essendo evidentemente il contesto naturale del suo discorso.

Il cuore dell’intervento di Draghi sta nell’esortazione a non avviare una spirale di competizione tra le monete, lasciando anzi le valute il più possibile «allineate». Non attraverso un coordinamento comune delle banche centrali, di per sé impraticabile, ma con una sorta di “desistenza” con il fine comune di affrontare e superare il momento di difficoltà nella maniera meno traumatica possibile: «Le Banche centrali non devono abbandonare l’obiettivo dell’inflazione«, ha detto il presidente della Bce, aggiungendo poi che «l’economia mondiale può beneficiare da un allineamento delle politiche».

«Le svalutazioni competitive danneggiano l’economia mondiale», ha sottolineato il presidente dei governatori dell’euro. E subito dopo ha difeso le azioni portate avanti dalla Bce negli ultimi anni, tese a far riprendere l’economia Ue dalla crisi iniziata nel 2008: «Abbiamo dimostrato – ha spiegato Draghi – che gli strumenti di politica monetaria non convenzionale, che possono attivare condizioni finanziarie accomodanti anche quando il tasso di interesse di equilibrio è basso, possono essere efficaci nel sostegno della domanda interna e nell’alimentare la pressione dei prezzi interni anche quando la spinta deflazionistica proviene dall’economia globale».

Rivendicata l’efficacia e la necessità del Qe – il quantitative easing, la sostanziosa iniezione di liquidità tuttora in corso per portare l’inflazione al 2% – Draghi non ha mancato di indirizzare una stoccatina nei confronti dei governi dei maggiori paesi: gli esiti dell’ultimo G20 sulla crescita, ha detto, sono stati «deludenti: è un esempio di come le intenzioni e le azioni possono divergere, in contrasto con quanto è avvenuto nel caso del coordinamento globale dell’azione di bilancio nel 2008-2009, che ebbe successo».

La crescita è in effetti uno dei piatti forti che dovrebbe rinvigorire la Ue dopo la Brexit: l’obiettivo del G20 criticato da Draghi, raggiungere il 2% di crescita entro il 2018, è già di fatto naufragato. Quindi l’invito è, in pratica, quello di concentrarsi sulle politiche di sviluppo. Con la possibilità di averne benefici economici, certamente, ma anche e soprattutto politici: quelli che servono dopo lo choc della Brexit.

Il coordinamento dell politica fiscale espansiva del 2008-2009, al contrario, ebbe successo: le banche centrali, come gli stessi governi, oggi dovrebbero dunque cooperare, o perlomeno non essere aggressivi gli uni verso gli altri. Invito indirizzato non solo alla Federal Reserve, di cui si attende un rialzo dei tassi a breve, ma anche alle banche centrali chiave di Regno Unito, Cina e Giappone.

«L’interesse in comune di tutti, oggi – ha concluso il presidente della Banca centrale europea – è chiudere il più velocemente possibile il divario produttivo globale, avere una inflazione più stabile a livello globale, una crescita globale più alta nel lungo termine e una maggiore stabilità finanziaria».