Mentre fuori dalle due stanze nelle quali Mario Draghi ha cominciato ieri pomeriggio le sue consultazioni romba il totoministi e si monta e smonta la nuova maggioranza, il presidente incaricato accoglie i suoi interlocutori parlando di Europa. Rimettere l’Italia in scia con il Next generation Eu, presentare presto il piano a Bruxelles (Draghi intende riscrivere quello che Conte in prima battuta intendeva affidare a una tecnostruttura), condurre in porto questo «esperimento» di risorse comuni il cui effettivo stanziamento seguirà le tappe del loro concreto utilizzo, spiega il presidente incaricato alle delegazioni che si succedono, prima ancora che una necessità per l’Italia è una grande opportunità per l’Europa unita. Che dal successo di questa iniziativa può uscire trasformata. Dopodiché si parla del governo.

Passa meno di un’ora da quando il presidente del Consiglio dimissionario deposita in piazza la sua attesa dichiarazione a quando il presidente incaricato comunica il calendario delle sue consultazioni per formare il nuovo governo. I ritmi non sono quelli forsennati che qualcuno si aspettava di fronte alle urgenze dichiarate al Quirinale. Fino a sabato sono attesi alla camera tutti i gruppi e microgruppi, resta da organizzare il previsto confronto con le parti sociali e si apprende nel tardo pomeriggio che ci sarà anche un secondo giro con i partiti. Indispensabile visto il tono dei primi incontri. Nei quali Mario Draghi offre alle delegazioni una sintesi delle sue dichiarazioni di mercoledì dopo aver accettato con riserva l’incarico da Mattarella, insistendo in particolare sull’urgenza di mettere mano al piano vaccinale. Poi, prendendo direttamente appunti – ma gli fanno compagnia per verbalizzare anche il vice segretario generale della camera Rizzuto Csaky e un altro funzionario – dichiara di voler ascoltare le idee e le proposte dei gruppi.

Ieri nelle due stanze attrezzate a Montecitorio per le consultazioni (così da consentire le sanificazioni senza spezzare il ritmo) si sono alternati i gruppi più piccoli – Azione +Europa, gli eletti all’estero del Maie, il Centro democratico di Tabacci, i nuovi «europeisti» del senato che non sono bastati a Conte, i deputati e senatori di centrodestra di Noi con l’Italia e Idea teoricamente gli unici non già sicurissimi di sostenerlo. Oggi e domani sfileranno i più grandi, Leu e renziani al mattino, Meloni, il Pd e Berlusconi al pomeriggio. Domani si chiude con Salvini e i 5 Stelle. Ma non si chiude del tutto, perché da un certo punto del pomeriggio di ieri in poi, nella biblioteca del presidente e nella sala della Lupa di Montecitorio dov’è ancora montato il tavolone attorno al quale si è consumato il fallimento dell’«esploratore» Fico, Draghi ha cominciato a salutare i consultati con un «arrivederci». Ci sarà un secondo giro, necessario visto che di composizione del governo e di perimetro della nuova maggioranza non si è parlato per niente.

Non se n’è parlato in quelle due stanze, ma fuori non si è fatto altro. Girando attorno a un problema: se mercoledì nel suo primo giorno di presidente incaricato Draghi sembrava avere troppo poco consenso in parlamento per partire, ieri sembrava averne troppo. Perché l’operazione con la quale – con il contributo della dichiarazione di Conte – si sta rapidamente trasformando il «mai con Draghi» dei 5 Stelle in «certamente con Draghi, purché sia un governo politico» può essere ostacolata da un eccesso di entusiasmo sul lato destro. Non da parte di Berlusconi, che è ormai metabolizzato da 5S, Pd e Leu, ma da parte di Salvini. Il «perimetro» più tranquillo per Mario Draghi sarebbe certamente quello della maggioranza «Ursula», cioè la vecchia maggioranza più Forza Italia, comunque in grado di consegnargli numeri di straordinaria tranquillità sia alla camera che al senato. Nel mandato che Draghi ha ricevuto dal capo dello stato però non è previsto che possa mettere paletti per escludere qualche partito, al contrario gli è stato chiesto di rivolgersi a tutti. Ma una maggioranza larga, che scompagini il centrodestra assorbendo Forza Italia, rientrerebbe in quello che ha promesso Mattarella: un governo che non si identifichi con una formula politica.

Eppure sarà certamente un governo politico – come lo sono tutti – anche in questo caso con diversi esponenti politici al suo interno oltre ai tecnici. Il presidente della Repubblica ha consigliato di costruirlo in maniera tale che possa ricevere il più largo appoggio parlamentare. Draghi stesso ha esordito con una dichiarazione di «grande rispetto del parlamento espressione della volontà popolare». L’insistenza dei gruppi e in particolare dei 5 Stelle sull’aggettivo «politico» significa che rivendicano il diritto di scegliere loro direttamente gli incarichi, nomi e caselle. Probabile che Draghi non farà troppe mediazioni. Zingaretti già lo anticipa: «Farà la sintesi e noi ne prenderemo atto».